Marco ha 18 anni, Giovanni 14; ormai stanno per affacciarsi all’età adulta e, nonostante qualche arrabbiatura scolastica, dico con soddisfazione che sono dei bravi ragazzi e se c’è una cosa che mi rende orgoglioso di loro è il grande rispetto con cui trattano le altre persone e il modo con cui da sempre risolvono e hanno risolto i loro piccoli e grandi conflitti. Mai con le mani, sempre con le parole.
Questo imprimatur, spero, farà di loro uomini corretti nei rapporti interpersonali; primo fra tutti quello con l’altro genere. Purtroppo, le cronache di questi anni raccontano troppo spesso di violenze e maltrattamenti nei confronti nelle donne e la mia paura, ammetto, è che sentirne parlare così spesso rischi di farci sembrare la cosa “normale”, quando normale non lo è affatto.
Negli scorsi giorni è stata presentata una bellissima indagine condotta per conto di Inc Non Profit Lab da AstraRicerche, e realizzata con il patrocinio di Rai Per la Sostenibilità – Esg su un campione di italiani tra i 18 e i 75 anni in occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne (25 novembre). Si intitola Prima che sia troppo tardi. Educare i giovani all’affettività per contrastare la violenza di genere e ha messo in evidenza alcuni dati importantissimi e dai quali partire per prendere iniziative forti e concrete per contrastare questo fenomeno.
Il primo è quello secondo cui meno di 4 ragazzi su 10 con un’età compresa fra i 18 e i 24 ritengono i femminicidi un’urgenza da affrontare in maniera prioritaria; il secondo quello in base a cui, se da un lato più di 9 italiani su 10 vorrebbero campagne di sensibilizzazione sulla violenza di genere nelle scuole, dall’altro il 24% (vale a dire quasi un quarto) dei maschi under 25 si dichiara apertamente contrario.
Ultimo, ma non meno importante, quasi tutti affermano di aver visto e ricordare le molte campagne realizzate per contrastare il fenomeno, ma al contempo le giudicano “troppo retoriche e poco concrete”, in generale “poco utili a generare un effettivo cambiamento in chi pratica o potrebbe praticare violenza psicologica o fisica”.
E allora? Come fare? Forse proprio ripartendo dalle basi, insegnando ai ragazzi e alle ragazze, sin da quando sono bimbi e bimbe, che l’altro va rispettato. Anche e soprattutto per la sua unicità e differenza. Inserire l’educazione all’affettività fra le materie insegnate a scuola, come vorrebbero ben 8 italiani su 10 secondo l’indagine, potrebbe essere un primo passo importante.
I temi da trattare con maggiore priorità, si scopre scorrendo i dati dell’indagine, dovrebbero essere come riconoscere i segnali della violenza di genere (72,6%), come superare gli stereotipi di genere (48,1%), come affrontare il tema della rabbia (45,6%) e quello dei rapporti sentimentali e amorosi (40,1%). A parlare di questo importantissimo tema dovrebbero essere le famiglie, ma anche la scuola e, non ultime, le istituzioni.
Insomma, di violenza di genere oggi si parla, ma spesso lo si fa senza una vera incisività e troppo tardi. Cominciamo a parlarne a scuola, in casa, con i nostri figli e le nostre figlie. Perché il rispetto si impara. E si impara meglio e più in fretta quando si è piccoli.