Sombrero per evitare un avversario al limite dell’area, l’esterno destro che accarezza la palla in discesa con il primo pallonetto per sfuggire a un altro difensore e tiro nell’angolino: è un capolavoro il secondo gol di David Sesa in quel Lucchese-Lecce del novembre 1998. Lui non è uno che ama autocelebrarsi, però, e parlando di quel gol minimizza: “Sì, certo che lo ricordo, ma più che i gol mi ricordo di quel campionato, fu davvero bello, in una squadra molto forte e infatti arrivammo terzi e fummo promossi in Serie A”. Originario di Sant’Angelo dei Lombardi, in provincia di Avellino, ma cresciuto in Svizzera, Sesa ha piedi fatati e una grande intelligenza tattica, dimostrandolo prima nello Zurigo, poi nel Baden e infine nel Servette, dove con 34 gol in quattro stagioni attira l’attenzione dei club europei: va al Lecce di Sonetti e diventa un giocatore fondamentale per la conquista della promozione. In Serie A, agli ordini di Cavasin, forma una coppia meravigliosa con Cristiano Lucarelli: “Lui aveva tutte le caratteristiche che non avevo io, io avevo tutte le caratteristiche che non aveva lui: insieme ci trovavamo a meraviglia. Ma era tutto quel Lecce a girare bene: un gruppo fantastico con Lima, Conticchio, Savino e gli altri, che sento ancora oggi. Questo ci portò a fare un campionato meraviglioso: vincemmo con la Juventus per 2 a 0, fermammo due volte il Milan, battemmo l’Inter (con un mio gol, ndr): ci salvammo senza grossi problemi“.

E a fine stagione arriva la chiamata del Napoli, per una cifra altissima: 18 miliardi di lire per approdare alla corte di Zeman: “Un errore? No, non dirò mai una cosa del genere. Napoli era la squadra dove aveva giocato Maradona, con uno stadio incredibile: era un’opportunità. Ci arrivai con Zeman perché ero adatto al suo calcio, poi lui andò via e ci furono difficoltà, ma per tutta la squadra e anche per la società: c’erano problemi, non era il Napoli di oggi. Poi ci sono dinamiche che fanno rendere o non rendere i calciatori: anche Mbappé al Real non rende come al PSG, e parliamo dei più forti al mondo. In quel Napoli hanno reso poco anche calciatori molto più forti di me, ma no, non considererò mai un errore esserci andato”. Dopo quattro stagioni in azzurro, una parentesi all’Arau e poi le esperienze tra Palazzolo, Spal e Foligno: “Mi sono divertito: in particolare alla Spal, un gran bel periodo”.

E poi dal campo alla panchina: “Mi ispiro a Zeman? Qualcuno dei suoi concetti lo adotto, certo, i suoi movimenti con gli attaccanti sono molto interessanti. Bisogna considerare che le squadre di Zeman hanno rappresentato un unicum in Italia: nel suo periodo si giocava un calcio molto difensivo e quindi le sue idee erano rivoluzionarie. Forse oggi, però, c’è un trend diverso rispetto a prima, basta vedere cosa accade nel mondo”. Cosa accade, Sesa lo spiega attraverso le sue esperienze: “La mia Svizzera era una squadra considerata piccola, oggi, dopo aver investito in allenatori, infrastrutture e vivai, produce giocatori importanti e ottiene ottimi risultati: ha vinto con merito contro l’Italia agli Europei. Ho allenato poi in Egitto, e anche lì non si può parlare di squadre scarse o clamorosamente indietro rispetto ai club europei: ci sono giovani molto interessanti e un livello di preparazione piuttosto alto”. E sull’Italia: “Quando giocavo io c’era tutto il meglio, oggi la situazione è cambiata perché credo serva più coraggio e anche più pazienza. Guardate l’Atalanta, ad esempio: un club che già dai miei tempi ha puntato forte sul vivaio, e i risultati oggi sono eccellenti. Per lo scudetto vedo una sfida tra Inter e Napoli, con i nerazzurri avvantaggiati dall’esperienza che già hanno accumulato insieme, e il Napoli con il valore aggiunto rappresentato da Antonio Conte, ma attenzione all’Atalanta”.

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