Cinema

Al via il Torino Film Festival: si inizia con Eden, lo sgangherato survival movie di Ron Howard con Jude Law sdentato e completamente nudo

La storia sui generis e avventurosa del dottore tedesco Friedrich Ritter (nel film Jude Law senza denti e con il pene di fuori) e di sua moglie Dora affetta da sclerosi multipla (Vanessa Kirby) fuggitivi nel 1929 a Floreana, isola deserta nell’arcipelago darwiniano delle Galapagos nel Pacifico, è accaduta per davvero

di Davide Turrini
Al via il Torino Film Festival: si inizia con Eden, lo sgangherato survival movie di Ron Howard con Jude Law sdentato e completamente nudo

I film cattivi bisogna saperli fare. E un bravo ragazzo come Ron Howard non è figura adatta per lo scopo. Prendete il caotico, sgangherato guazzabuglio di Eden – film che apre il 42esimo Torino Film Festival diretto da Giulio Base – e capirete di cosa stiamo parlando. Doveva essere un survival movie che gira attorno all’hobbesiano homo homini lupus ma è una affastellata conta di dissennati caratteri umani e cani lupo idrofobi. L’occasione era davvero ghiotta. Perché la storia sui generis e avventurosa del dottore tedesco Friedrich Ritter (nel film Jude Law senza denti e con il pene di fuori) e di sua moglie Dora affetta da sclerosi multipla (Vanessa Kirby) fuggitivi nel 1929 a Floreana, isola deserta nell’arcipelago darwiniano delle Galapagos nel Pacifico, è accaduta per davvero.

Come per davvero nel 1931 a disturbare i due in apparente pace con asinello e galline, è arrivata un’altra coppia di tedeschi: il ragionierino tuttofare Wittmer (Daniel Bruhl) con la giovanissima moglie in seconde nozze e incinta, Margret (Sydney Sweeney), più figliolo tubercoloso. Del resto le gesta atipiche e selvagge di Ritter sono finite sui rotocalchi d’epoca facendo grosso eco tra i lettori. Anche perché il dottore, sudato e piegato di continuo su una macchina da scrivere nel comporre una nuova filosofia radicale alla Nietzsche che salverà l’umanità, lascia continuamente lettere sul progredire entusiasta del suo pamphlet e della sua vita tra capanne e sanguisughe in una botte sulla spiaggia che regolarmente marinai di passaggio raccolgono e portano in continente.

Per questa esposizione mediatica dopo i Wittmer a Floreana si installano pure una affascinante baronessa (Ana de Armas), in realtà libidinosa truffatrice, assieme a tre suoi giovani, nerboruti e inetti servi con i quali si prodiga in ammucchiate sessuali, per costruire un hotel di lusso. Ma di acqua, cibo e posto all’ombra non sembra essercene per tutti. Così la mai realizzata armonia deflagra in un caos violento di omicidi e tradimenti anche tra coniugi. Capiamoci subito: ipocrisia, doppiezza, cinismo e sadismo individuale per la sopravvivenza non sono emozioni esplorate da Howard e dal co-sceneggiatore Noah Pink. Tanto che dopo nemmeno una mezz’oretta l’improbabilità dei personaggi non ci permette più di capire chi sia cosa e chi faccia cosa. Ogni carattere in scena zigzaga paurosamente, spesso interpellato da vicino con strambi grandangoli howardiani, tra bene e male, decisione e indecisione, consapevolezza e inconsapevolezza, lasciando addirittura alla de Armas una specie di macchiettistico diritto di cattiveria sul resto del gruppo. Eden è zeppo di patetiche scene madri, turning point irresoluti che culminano in alcuni momenti di rara bruttezza compositiva come quella del pranzo offerto dalla baronessa, lunga sequenza drammaturgicamente cringe emblematica per qualificare l’intera opera.

Così se Howard non riesce a dare ritmo, tono e direzione alla storia, a Eden manca anche una solida, sentita presa di regia sugli attori. Law gigioneggia smargiasso, sdentato e gonfio come un culturista vagando come un hippy su di giri per l’isola; Kirby al minimo sindacale rifà la solita anemica femme fatale dal demenziale accento tedesco; Bruhl, Sweeney e de Armas pullulano la scena come personaggi usciti da una pallida commedia vittoriana da salotto. E visto che al peggio non c’è mai fine, Howard spiattella dosi di sbudellamento umano e animale casualmente esibizioniste più che funzionali al racconto adoperando un’altra materia che gli è aliena: il sangue. Insomma, di fronte a tanta incomprensibile grossolanità formale, all’imperdonabile mancanza di un senso generale dell’agire dei personaggi e alla sciagurata incapacità di non riuscire a farci legare ad essi, perfino la terza parte di Triangle of sadness, quella dell’isola deserta, ci farebbe la figura di un film di Bunuel.

Un consiglio: non fatevi abbindolare dal solito messaggio politico delle dittature europee luogo da cui fuggire. Chi scappava dalla cosiddetta civiltà occidentale nel ’29 lo faceva proprio perché era il sistema democratico basato su finanze assassine e diseguaglianze economiche ad essere fallito. Distribuisce 01 per l’Italia, mentre negli Stati Uniti nessun distributore si è fatto avanti. Dulcis in fundo: oggi Floreana è un luogo per turisti con un alberghetto gestito dai parenti degli Wittmer.

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