Calcio

Roma, il miglior dribblatore della Serie A finito in panchina: perché per Ranieri il primo rebus da risolvere si chiama Matías Soulé

La scena sembra quasi estrapolata da un film a stelle strisce. A uno dei giocatori più promettenti di una squadra viene improvvisamente succhiato via tutto il talento. Senza che nessuno riesca a rendersi davvero conto di ciò che sta succedendo. Così quella che un tempo era una speranza si ritrova imprigionata nel ruolo di rebus […]

Hai già letto 5 articoli
questo mese.

PER CONTINUARE A LEGGERE

1 € PER IL PRIMO MESE

La scena sembra quasi estrapolata da un film a stelle strisce. A uno dei giocatori più promettenti di una squadra viene improvvisamente succhiato via tutto il talento. Senza che nessuno riesca a rendersi davvero conto di ciò che sta succedendo. Così quella che un tempo era una speranza si ritrova imprigionata nel ruolo di rebus impossibile da risolvere. In attesa di un lieto fine che pare non arrivare mai. È questo il ruolo che Matías Soulé da Mar del Plata si è ritrovato a recitare in questa Roma, una squadra allestita per scrivere un kolossal e che ora vive l’incubo di un bmovie. Il rendimento dell’argentino con la Roma è ridotto all’osso. Un gol, zero assist, qualche dribbling a testa bassa e appena sette presenze da titolare. Troppo poco per uno che sembrava poter diventare una delle ali più letali in circolazione. Tanto che il paragone con Iturbe, il gran visir di tutti i flop giallorossi del nuovo millennio, ha iniziato a serpeggiare. Prima sui social. Poi fra i tifosi. Infine fra gli addetti ai lavori. Un parallelo fin troppo ingeneroso per un 21enne che non può certo essere etichettato come una meteora della Serie A.

Il talento di Soulé, infatti, è solido. Lo testimoniano gli 11 gol (e i 3 assist) messi a referto lo scorso anno con la maglia del Frosinone. Ma soprattutto le buone cose fatte vedere nella prima squadra della Juventus appena due stagioni fa. Il problema è che la storia dell’argentino nella capitale ha tutte le sembianze di un disastro annunciato. Lo scorso anno la Roma di Mourinho prima e di De Rossi poi aveva palesato un problema che si era rivelato castrante. Mancava gente capace di saltare l’uomo, di creare superiorità numerica sulla trequarti avversaria. Lo stesso Dybala, che viaggiava a una media di 1.3 dribbling riusciti a partita, faceva un lavoro diverso. Si abbassava spesso per aggirare il primo marcatore avversario e provare a srotolare l’azione offensiva. Così il club giallorosso aveva deciso di colmare questa lacuna con una mossa assolutamente sensata: acquistando il miglior dribblatore del campionato, un generatore automatico di superiorità numerica (grazie anche a una media di 2.8 dribbling riusciti a partita).

De Rossi aveva chiesto esterni offensivi capaci di giocare con i piedi sulla linea del fallo laterale. E Soulé, con la sua tecnica funambolica, sembrava corrispondere perfettamente all’identikit tracciato dal tecnico. I grattacapi, però, sono arrivati quasi subito. La scelta di Dybala di restare in giallorosso, salutata come la dimostrazione definitiva di attaccamento alla maglia, aveva generato un doppione. All’improvviso nel 4-3-3 disegnato da De Rossi, c’era spazio soltanto per uno dei due argentini. E la situazione si è complicata immediatamente. L’allenatore giallorosso ha prima fatto accomodare in panchina Dybala, ancora stordito dal canto delle sirene arabe, schierando Zalewski a sinistra. Poi ha deciso di mescolare le carte, inserendo Soulé sulla banda mancina. Anche se l’argentino aveva già chiarito di non voler giocare in quella posizione. Anche se il fatto di partire dal lato opposto gli impediva di ripetere in loop il suo colpo migliore: accentrarsi dalla destra, saltare l’avversario, concludere in porta con il piede forte. E i risultati sono stati al di sotto delle aspettative.

Il cambio modulo e l’arrivo di Juric hanno tolto ulteriore spazio all’argentino. Nel 3-4-2-1 Soulé è letteralmente un pesce fuor d’acqua. L’ex Frosinone non ha né il fisico né le caratteristiche per giocare come quinto a tutta fascia. E schierarlo nei due fantasisti alle spalle della prima punta significa accorciare troppo il suo raggio di azione, costringerlo a districarsi in spazi più angusti e risicati. Finora, dunque, non sono state create le condizioni ideali per facilitare l’inserimento dell’argentino in una realtà enorme ed enormemente complessa come la Roma. Anzi, Soulé è stato risucchiato nel gorgo nero di un mercato confuso, in cui il club giallorosso ha speso quasi 120 milioni di euro in cartellini ma senza alcuna certezza di aver costruito una rosa più forte rispetto allo scorso anno.

Il problema del terzino destro si è ormai cronicizzato. E le scelte di portare nella capitale Buba Sangaré e Saud Abdulhamid hanno trasformato il modesto Celik in un imprescindibile A sinistra Angelino, l’unico in grado di arrivare sul fondo e mettere in mezzo dei cross interessanti per Dovbyk, è stato schierato come terzo centrale, lasciando la fascia sinistra (in attesa del ritorno di Saelemaekers) a Zalewski, uno fuori dal progetto che con i suoi errori ha regalato reti all’Inter e al Verona. E ancora: Hermoso è molto lontano dal giocatore ammirato con l’Atletico, Hummels è stato protagonista più sui social che in campo, Dahl è fuori dalla lista Uefa e ha debuttato in A solo alla dodicesima giornata, Le Fée è ancora un oggetto misterioso. Una situazione da mal di testa che ora Ranieri dovrà provare a razionalizzare. Partendo prima di tutto dal rebus Soulé, un giocatore dalla tecnica troppo affilata per risultare quasi inoffensivo.