Cultura

Sarà davvero la “Grande Brera”? Il Cenacolo Vinciano torna insieme alla Pinacoteca: i pro e i contro

di Marco Ferri
Sarà davvero la “Grande Brera”? Il Cenacolo Vinciano torna insieme alla Pinacoteca: i pro e i contro

Da qualche settimana il Cenacolo Vinciano di Milano, che custodisce l’Ultima cena di Leonardo da Vinci ed è visitato ogni anno da mezzo milione di persone, è stato rimosso dal Polo regionale dei musei nazionali della Lombardia e assegnato alla Pinacoteca di Brera – che invece è museo autonomo di prima fascia guidato da Angelo Crespi – insieme alla Biblioteca Nazionale Braidense e a Palazzo Citterio, con lo scopo di creare un vero e proprio Polo museale milanese che già tutti chiamano “la Grande Brera“.

Come dire, la riforma Franceschini del 2014 mise nel mirino e smontò, pezzo dopo pezzo, i vari poli museali che precedenti riforme avevano creato riunendo luoghi di cultura col comune denominatore della contiguità territoriale e dell’epoca di formazione delle varie collezioni, mentre il governo di centrodestra in carica da oltre due anni sta pian piano formando dei piccoli puzzle museali che possono sì avere qualcosa in comune, ma soprattutto che puntano ad aumentare gli introiti dei botteghini e non solo, come vedremo.

Numeri alla mano: nel 2023 la Pinacoteca di Brera fu visitata da quasi 465mila persone conquistando il 18esimo piazzamento nella Top 30 dei musei e parchi archeologici d’Italia. Per un museo di prima fascia, che ha un dirigente parificato a un direttore generale del ministero, non è un risultato particolarmente esaltante.

Il Cenacolo Vinciano, che era un museo nazionale non autonomo, nel 2023 si era classificato appena sopra Brera, al 17esimo posto, con poco più di 483mila visitatori (ma alla fine di quest’anno saranno quasi certamente un bel po’ di più). Ora, se i due musei venissero accorpati con i risultati dello scorso anno, con circa un milione di visitatori Brera salirà al sesto-settimo piazzamento nella hit parade della cultura museale, inducendo al sorriso, all’orgoglio, ai toni trionfalistici di chi potrà rivendicare il risultato. Vedremo.

Ma oltre alle “misure” di natura economico-reputazionali, l’accorpamento Cenacolo-Brera ha un senso? Indubbiamente sì. Effettivamente l’idea di unire i due musei non è nuova. Già Alberto Bonisoli, ministro della Cultura del primo governo Conte, l’aveva pensata nel 2019 e l’allora direttrice del Polo regionale dei musei lombardi, Emanuela Daffra, in un’intervista al Corriere della Sera aveva riassunto i termini storici della questione. Infatti il Cenacolo era diventato museo statale grazie a Ettore Modigliani, direttore di Brera dal 1908 al 1937; poi il grande restauro del dopoguerra fu deciso da Fernanda Wittgens, anch’essa direttrice di Brera dal 1940 al 1957; il restauro, l’ultimo, venne deciso alla fine degli anni Settanta da Carlo Bertelli e concluso da Pietro Petraroia e Pietro Marani, sempre di Brera; infine 25 anni fa, quando si cominciava a ragionare sulle autonomie dei musei, l’allora soprintendente Bruno Contardi, manifestò l’esigenza che Brera e il Cenacolo Vinciano potessero essere tasselli fondamentali del polo museale milanese. Quindi, a conti fatti, il Cenacolo avrebbe dato alla Pinacoteca Leonardo, il grande assente nelle sue opere, così come la Pinacoteca di Brera salvava il Cenacolo dal suo ruolo di inevitabile feticcio turistico.

Fin qui i pro. E i contro? Sempre la dottoressa Daffra cinque anni fa parlò di un evidente danno economico che avrebbe subito il Polo regionale lombardo, perché privarlo del Cenacolo avrebbe significato una diminuzione di introiti che sarebbe ricaduta sui musei minori, quelli di più limitato appeal. Questo accadeva cinque anni fa. E oggi che l’unione è cosa fatta? Oggi potrebbe andare anche peggio. I musei minori del Polo lombardo dovranno fare a meno di tante risorse che servono alla loro esistenza, risultato di una politica culturale che mira soprattutto a far cassa a scapito di una visione più ampia dei musei che potrebbero funzionare meglio in rete; in più si è aggiunto – in maniera più accentuata in questi anni post-Covid – il dilagante fenomeno del cosiddetto overtourism, per cui in aree limitate delle nostre città si riversano quantità di turisti che, oltre a impedire un comodo godimento della bellezza, comportano tutta una serie di problematiche che ormai non riguardano più solo le cosiddette “città d’arte”, bensì tutti quei luoghi dove è essenziale non tanto ammirare qualcosa di bello e di importante, ma semplicemente esserci, magari anche solo per scattare un selfie e per proclamare al mondo con orgoglio che ego sum hic et nunc. De gustibus…

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