Il presidente eletto Donald Trump, negli Stati Uniti, pensa alla deportazione di massa. Il capo del governo italiano, Giorgia Meloni, ha provato la “carta Albania”, con scarso successo, almeno fino ad ora. Keir Starmer, il primo ministro inglese, non nasconde l’interesse per l’operazione di Roma, seppure il suo predecessore, il conservatore Sunak, abbia lanciato l’operazione Ruanda inutilmente. Sui migranti la Spagna di Pedro Sanchez va invece controcorrente, ed annuncia di volerne regolarizzare 300mila l’anno per tre anni: totale, 900mila persone.

Certo, tra gli annunci e la realtà delle cose di differenza ne passa, ma intanto si può registrare l’approccio diverso alla questione dell’immigrazione, che la Spagna, come l’Italia, vive in modo impellente. Per la ministra Elma Saiz, che è responsabile del dicastero, questa riforma “rappresenta un equilibrio tra l’estensione e la tutela dei diritti dei migranti e il rigore giuridico e l’attenzione ai bisogni della Spagna”. Si vedrà. Una delle chiavi per avviare questa regolarizzazione è la formula della “radice”; chiunque possa provare legami con il luogo in cui risiede – di carattere economico, familiare, lavorativo, formativo – potrà avviare la pratica.

Il binario privilegiato è per coloro che hanno già un familiare in Spagna, che abbia acquisito la cittadinanza: secondo il ministero dell’Inclusione, nel 2023 gli stranieri che sono diventati spagnoli sono stati circa 240mila. Ne beneficeranno anche le coppie che non sono sposate o che non sono registrate come coppie di fatto; basterà dimostrare di avere un rapporto affettivo analogo. Entrando nello specifico, ci sono anche altre novità: la durata del visto temporaneo per la ricerca di un lavoro è estesa da tre mesi ad un anno; chi ha ottenuto un permesso di soggiorno temporaneo non dovrà uscire dal Paese iberico per avviare le pratiche al fine di ottenere un permesso di lungo periodo; anche gli studenti stranieri potranno cercare un lavoro ed ottenerlo, a patto che l’impegno non superi le 30 ore settimanali.

Fin qui, l’iniziativa del governo di Pedro Sanchez ha solo spunti positivi. Ma c’è da fare i conti con la realtà: un dossier elaborato dal Centro di ricerca sociologica ha confermato che l’immigrazione massiccia in Spagna è vista come il problema principale. I numeri parlano chiaro: nel 2023 sono entrati 56.852 migranti, con un aumento dell’82,1 % rispetto al 2022. Si tratta del dato più alto negli ultimi anni – se si esclude il 2018 che fece registrare più di 60 mila ingressi – confermando come la Spagna è la porta d’ingresso per l’Europa assieme a Grecia e Italia.

Il tema dell’immigrazione è il preferito da Vox, il partito di estrema destra, tanto che a metà ottobre proprio in polemica sulle scelte in materia ha abbandonato cinque giunte regionali dove i suoi rappresentanti erano entrati con i Popolari. Abascal, il leader di Vox, ha polemizzato soprattutto sulla distribuzione di 400 minori migranti non accompagnati, impegno che invece i Popolari hanno accettato. È solo un esempio di come la politica del governo può diventare dirimente nel Paese iberico. Ma Sanchez si affida ai numeri: la Banca di Spagna ha calcolato che saranno necessari 24 milioni di immigrati per mantenere un giusto rapporto tra lavoratori attivi e pensionati. Nei prossimi 20 anni, si attende il ritiro dall’impiego di 14,1 milioni di spagnoli: e la soluzione di immettere nuova forza nel sistema previdenziale, sfruttando le richieste di regolarizzazione, appare come una svolta necessaria.

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