Governo Meloni sempre più spaccato dopo il mandato d’arresto della Corte penale internazionale nei confronti di Benjamin Netanyahu. Venerdì, a caldo, il vicepremier e leader leghista Matteo Salvini aveva annunciato che non vede l’ora di invitare il premier israeliano in Italia dove sarà “il benvenuto”. L’altro vicepremier, il ministro degli Esteri e leader di FI Antonio Tajani, aveva preso tempo: “Valuteremo insieme ai nostri alleati cosa fare”. Mentre il titolare della Difesa Guido Crosetto si era detto convinto che la decisione dell’Aja andasse eseguita. Sabato le divisioni sono ancora più evidenti. Solo su una cosa l’esecutivo pare d’accordo: la Corte dell’Aja, la cui istituzione è stata ratificata anche dall’Italia 25 anni fa, si è sbagliata. Perché “non è possibile” – dicono sia Tajani sia Crosetto – equiparare il premier democraticamente eletto di Israele a un capo terrorista, Mohammed Diab Ibrahim Al-Masri, anche lui oggetto di un mandato. Cautele e distinguo caratterizzano del resto anche le posizioni dei governi di Francia e Germania. Solo Belgio, Spagna, Irlanda, Paesi Bassi e Slovenia si sono detti pronti ad applicare la sentenza.

Tajani, intervistato da Repubblica, alla domanda se non si senta “scavalcato” da Salvini risponde: “La politica estera si deve fare in maniera costruttiva. È una cosa seria. Ogni parola va pesata, ponderata, calibrata. E quindi la linea viene espressa dal presidente del Consiglio e dal ministro degli Esteri“. Come dire: Salvini farebbe meglio a “pesare” quel che dice o, ancora più auspicabile, tacere. “Poi un leader di partito parla di quello che vuole – aggiunge Tajani – Ma restano opinioni politiche di leader di partito, che però non diventano automaticamente la linea dell’esecutivo”. Che è? “Vogliamo prima leggere le carte, capire le motivazioni della sentenza, ragionare su cosa sostiene la Corte”. Il tutto nonostante un portavoce della Commissione europea ieri sera abbia ribadito che c’è poco da ragionare: “Tutti gli Stati che hanno ratificato lo Statuto di Roma, tra cui tutti gli Stati membri dell’Ue, hanno l’obbligo di eseguire i mandati di arresto emessi dalla Corte Penale Internazionale”.

“Noi riconosciamo e sosteniamo la Corte penale”, concede bontà sua Tajani. “Ma lo facciamo ricordando che deve avere sempre una visione giuridica e non politica. Nel pieno di una guerra di questa violenza il primo obiettivo degli Stati, e della Repubblica italiana, è quello di trovare alleanze politiche per fermare le morti a Gaza e in Libano, per ritornare a un percorso diplomatico. Noi dobbiamo portare la pace a Gaza, non dobbiamo credere che portare qualcuno in carcere aiuti la pace”. Tant’è. Quando gli si fa notare che la reazione non è stata la stessa quando ad essere destinatario di un mandato di cattura della Corte è stato Vladimir Putin, il forzista si esercita nel solito esercizio dei due pesi, due misure: “Non scherziamo, non esiste il paragone. Putin ha scatenato la guerra in Ucraina, Netanyahu ha reagito al 7 ottobre”. E l’Italia continuerà ad armare Kiev. “Certo, assolutamente. E continueremo a sostenere l’Ucraina. La pace giusta non può coincidere con una sconfitta”.

Tutto considerato, l’Italia considera il pronunciamento della Corte una sentenza politica? “Stiamo dicendo, il presidente del Consiglio ed io, che una sentenza di questa portata ha un effetto politico profondo sulla gestione non di un confitto, ma della sua conclusione. Non è possibile equiparare e mettere sullo stesso piano il premier democraticamente eletto di Israele e un capo terrorista. Una cosa è sottolineare la sproporzione della risposta di Israele nella Striscia, su cui siamo tutti d’accordo. Altro è un mandato di cattura”. Linea su cui concorda anche Crosetto: “Abbiamo trovato inaccettabile e assurdo mettere sullo stesso piano i leader di un’organizzazione terroristica che ha attaccato innocenti con chi guida legittimamente uno stato democratico e si sta difendendo”.

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