Contro i femminicidi e contro il patriarcato. Migliaia di persone sono scese in piazza a Roma per il corteo nazionale di Non una di meno partito da piazzale Ostiense. La “marea transfemminista“, in occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne del 25 novembre, è tornata a sfilare per le strade della Capitale ribadendo un concetto chiaro scritto nero su bianco su uno striscione in testa al corteo: “Disarmiamo il patriarcato”. “Siamo 150mila”, hanno detto le organizzatrici al megafono durante la marcia. In testa al corteo hanno sfilato i centri antiviolenza femministi, circondati da cartelli su cui si leggevano slogan come “siamo rivoluzione”, oppure “se il patriarcato non esiste perché continuiamo a morire”, o, ancora, “vietare alle donne di lavorare è violenza”. La manifestazione ha attraversato un pezzo del centro della città per terminare infine a Piazza Vittorio Emanuele II. Ma al corteo è stato impedito di passare davanti alla sede dei Pro Vita, facendo montare la rabbia di alcuni partecipanti “Vergogna, fateci passare”, hanno protestato con la polizia che ha blindato la strada, schierando anche gli idranti, dove si trova la sede dell’associazione antiabortista. “Le sedi dei pro Vita si chiudono col fuoco ma con i Pro Vita dentro altrimenti è troppo poco. Manco rispondete quando chiamiamo il 1522 e voi chiudete una strada sui pro vita chiudere”, hanno gridato alcuni manifestanti molto giovani.

Dalla piazza è arrivato forte il messaggio rivolto al ministro Valditara che pochi giorni fa, collegandosi alla presentazione della Fondazione dedicata a Giulia Cecchettin, ha parlato della lotta al patriarcato come di una “visione ideologica”. “Il patriarcato esiste e lo vediamo anche nei numeri. 106 femminicidi in un anno che sono soltanto la punta di un iceberg di una violenza che si perpetua nei posti di lavoro, nelle scuole, in ogni ambito della nostra esistenza”, hanno dichiarato le attiviste in un punto stampa. “Le parole del ministro Valditara confermano l’urgenza di scendere in piazza. Il patriarcato esiste, non è ideologia e il razzismo istituzionale non è la risposta. L’assassino, il violento, l’abusante sono figli della nostra società e hanno quasi sempre le chiavi di casa”, hanno proseguito. “Se vogliamo stare sui dati è interessante vedere che più dell’80% delle persone che commettono violenza sono partner o ex partner. Questo ci dice che non conta la nazionalità ma la relazione che le donne instaurano con gli uomini e il senso di possesso che gli uomini hanno sulle donne che considerano proprie e questo è vero a ogni latitudine e in ogni parte del mondo”, ha insistito ancora Carlotta, attivista di Non una di meno, sottolineando che “la violenza è trasversale”. La violenza sulle donne, hanno detto ancora le attiviste, “non è un’emergenza”, ma, purtroppo, “una dimensione strutturale che ogni anno ripete gli stessi numeri e le stesse modalità a fronte di una carenza di fondi per i centri antiviolenza e per le politiche a sostegno delle donne vittime di violenza. E quindi siamo in piazza per ribadire che c’è una guerra sui nostri corpi – e c’è una guerra globale – in cui i governi cercano di rafforzare costantemente la famiglia patriarcale e il razzismo contro le donne”. Il femminicidio, ha proseguito ancora Carlotta, “è solo la punta dell’iceberg che riguarda molestie sul posto di lavoro, discriminazioni nelle scuole” e altre forme di violenza che portano “più di 20mila donne ogni anno a rivolgersi ai centri antiviolenza”.

Prima dell’inizio del corteo la protesta contro Valditara è andata in scena anche davanti al ministero dell’Istruzione dove alcune attiviste del movimento “Aracne” hanno bruciato una foto del ministro, pubblicando il gesto su una storia Instagram, al grido di “Valditara pezzo di m****”.

Durante il corteo erano previste anche delle azioni dimostrative delle attiviste: la prima ha visto diverse giovani incappucciate con passamontagna ricoperti di lustrini, volendo replicare il gesto della studentessa iraniana, Ahoo Daryaei, che si è spogliata davanti all’università a Teheran per protestare contro l’imposizione del velo. “Siamo il grido altissimo e feroce di tutte quelle donne che più non hanno voce”, lo slogan con cui hanno aperto la performance che si è conclusa con le donne che si sono tolte le maglie e sul finale hanno tirato giù lo striscione (con scritto ‘il corpo è mio, decido io’) che le copriva, mostrandosi a seno nudo. Davanti al Colosseo, invece, le donne e gli uomini in corteo hanno esposto un lungo striscione fucsia con i nomi delle 106 vittime di femminicidio, lesbicidio e transicidio. “Mi hanno chiesto come si può ballare con 106 vittime dall’inizio dell’anno e io rispondo perché queste donne sono state uccise proprio perché volevano ballare, perché volevano essere loro stesse”, ha detto una delle organizzatrici della manifestazione al megafono mentre alcuni fumogeni viola e fucsia venivano accesi davanti al monumento. Sotto la sede Fao di viale Aventino, invece, le attiviste hanno organizzato un flash mob per le donne palestinesi. “Non esisterà la liberazione delle donne senza la liberazione della Palestina. Agitate le chiavi per le donne palestinesi. Queste chiavi che rappresentano l’oppressione e la distruzione delle loro case”, hanno detto dal microfono. “Agitiamo le chiavi come simbolo di autodifesa e rivolta. Contro la guerra, l’oppressione e razzismo. Non c’è resistenza senza liberazione dal patriarcato. E Noi lo sappiamo da che parte stare: Palestina libera, dal fiume fino al mare“.

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