Si è chiusa nella notte la Cop 29 sul clima di Baku, in Azerbaigian, ma non si può certo dire che si sia trovato un accordo tra le parti. Doveva essere la Cop dedicata alla Finanza (il dossier più importante) ma, oltre che riservare un risultato molto deludente sul fronte delle risorse che i Paesi […]
Si è chiusa nella notte la Cop 29 sul clima di Baku, in Azerbaigian, ma non si può certo dire che si sia trovato un accordo tra le parti. Doveva essere la Cop dedicata alla Finanza (il dossier più importante) ma, oltre che riservare un risultato molto deludente sul fronte delle risorse che i Paesi industrializzati mobiliteranno per il Sud del mondo, sarà ricordata anche come la Cop dello stallo nella riduzione delle emissioni e dell’uscita dai combustibili fossili. Nonostante manchi solo un anno al banco di prova della Cop 30 del Brasile, dove tutti i Paesi dovranno presentare i loro nuovi impegni climatici, i cosiddetti Ndc. I Paesi industrializzati sono riusciti a mettere sul piatto solo 300 miliardi di dollari all’anno finalizzati al New Collective Quantified Goal (NCQG), ossia 1.300 miliardi da ‘mobilitare’ entro il 2035. Quindi non solo forniti dagli Stati, ma provenienti da finanza pubblica e privata. Una piccola parte di quanto serve per la transizione, per l’adattamento e per le perdite e i danni causati dai cambiamenti climatici. Per molti Paesi del Nord del mondo è comunque una base su cui iniziare a costruire, per i Paesi poveri, i piccoli stati insulari e i Paesi in via di sviluppo è un obiettivo “tristemente inadeguato”.
Dopo le prime richieste di avere 1.300 miliardi di dollari all’anno dal 2025, in contributi pubblici a fondo perduto, giorno dopo giorno le aspettative si sono abbassate. Il Gruppo Africa/G77 ha chiesto che arrivassero dai Paesi industrializzati almeno 500 miliardi di dollari di finanza pubblica. Ancora una volta, alla Cop, dopo le ultime estenuanti trattative, il Sud del mondo si è dovuto accontentare. Prendere o lasciare. Nel testo finale, entra l’obiettivo di triplicare i fondi per l’adattamento al 2030 (e non al 2035 come previsto nelle bozze precedenti), ma non si non spinge abbastanza affinché le risorse arrivino sotto forma di sovvenzioni (e non di prestiti) e resta il buio su come si copriranno le spese per perdite e danni. Fino a notte fonda è stato concreto il rischio di non arrivare a nessun tipo di accordo. Come hanno mostrato le prime reazioni.
Le reazioni dei Paesi in via di sviluppo e del Nord del mondo – Furioso il discorso della negoziatrice dell’India, dopo le martellate sul tavolo del presidente della Cop29, Mukhtar Babayev, che annunciava l’accordo. “L’India si oppone all’adozione di questo documento. L’obiettivo è irrisorio”, ha detto. Il negoziatore della Bolivia ha detto che l’accordo “sancisce l’ingiustizia climatica”. Stesso disappunto dai negoziatori di Cuba, Nigeria, Malawi, che ricevono applausi. Molto più fredda la reazione al discorso di Wopke Hoekstra, commissario europeo per l’azione per il clima. “Sappiamo tutti quanto sia stato molto, molto difficile. Stiamo triplicando – ha detto – l’attuale obiettivo di 100 miliardi di dollari (stabilito nel 2009 e raggiunto solo nel 2022, ndr) e riteniamo che sia ambizioso, necessario, realistico e realizzabile”. È la visione dei Paesi ricchi, diametralmente opposta a quella di chi aspettava questa Cop per vedere il Nord del mondo pagare. “Speravo in un risultato più ambizioso, ma questo accordo fornisce una base su cui costruire. Deve essere onorato per intero e nei tempi previsti” ha detto il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ricordando che “i paesi in via di sviluppo sommersi dal debito, colpiti da disastri e lasciati indietro nella rivoluzione delle energie rinnovabili, hanno un disperato bisogno di fondi”. “È stato un viaggio difficile, ma abbiamo raggiunto un accordo. Nessun paese ha ottenuto tutto ciò che voleva e lasciamo Baku con una montagna di lavoro ancora da fare” ha commentato Simon Stiell, il massimo funzionario per il clima delle Nazioni Unite.
Cosa c’è nell’accordo sulla finanza – Nel documento finale sulla finanza sono poche le novità rispetto alla proposta inviata alle parti nella giornata di sabato. Nei 300 miliardi di euro sono inclusi fondi pubblici, privati, banche multilaterali di sviluppo che, come annunciato in questi giorni, stimano di poter fornire 120 miliardi di dollari all’anno entro il 2030 ai paesi a basso e medio reddito, compresi 42 miliardi di dollari per l’adattamento (più 65 miliardi di dollari dal settore privato). Eppure, secondo le stime dell’Independent High-Level Expert Group on Climate Finance, sarebbero serviti almeno 390 miliardi di dollari all’anno entro il 2035 per raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi. Il testo approvato include anche lo sviluppo di una Roadmap di attività ‘da Baku a Belem (sede della prossima Cop)’ su come raggiungere 1.300 miliardi di dollari e la presentazione di una valutazione dei progressi fatti verso questi obiettivi nel 2030. “L’accordo raggiunto è solo il punto di partenza, da qui a Belem si avvia un percorso per garantire che si trovino le risorse necessarie per finanziare la transizione in tutti i Paesi, soprattutto quelli più vulnerabili” ha commentato Eleonora Cogo, esperta senior sulle Riforme della finanza internazionale di Ecco, il think tank italiano per il clima. “L’ingresso della Cina come nuovo contributore ai finanziamenti per il clima – ha aggiunto – è un segnale importante che dimostra anche che è meglio scommettere sulla decarbonizzazione”. Pechino, però, contribuirà su base volontaria e sono invitati a farlo anche gli altri Paesi emergenti ne hanno la possibilità. Si basa sul triplicare i flussi verso il fondo di adattamento, tra l’altro anticipando la data al 2030 o al 2032.
Nessun passo in avanti sull’uscita dalle fonti fossili – La Cop 29 non si è chiusa con un testo di copertura, che sintetizzasse tutti i risultati, ma con più documenti. Se quello che ha catturato più attenzione è stato il testo sul nuovo obiettivo di finanza climatica, ha destato molte preoccupazioni con il passare dei giorni anche quello sull’implementazione dei risultati del Global Stocktake (GST), il documento in cui alla Cop 28 si citava per la prima volta nella storia di una Conferenza delle Parti sul clima la “transizione via dai combustibili fossili”. Nel documento adottato alla Cop 29 manca quell’esplicito riferimento all’impegno assunto lo scorso anno, che molti Paesi chiedevano di ribadire. Si sono opposti diversi petro-Stati, in primis l’Arabia Saudita. E così, anche nei commenti dopo la chiusura della Cop, alcuni paesi sviluppati hanno accusato l’Arabia Saudita di aver riformulato alcuni degli accordi presi a Dubai. Nel testo, inoltre, si riafferma la necessità di “riduzioni profonde, rapide e sostenute delle emissioni di gas serra in linea con i percorsi di 1,5 °C” invitando i Paesi “a contribuire agli sforzi globali a cui si fa riferimento nel paragrafo 28”. Ciò potrebbe essere visto come un passo indietro rispetto all’impegno. Il testo, però, dà anche una spinta al gas fossile, definito “combustibile di transizione”. Alla Cop di Baku, inoltre, è stato anche approvato il nuovo mercato internazionale del carbonio: dopo dieci anni dall’Accordo di Parigi, si sono scritte tutte le regole del sistema che consentirà agli Stati di investire in progetti di decarbonizzazione all’estero e che ora dovrebbe avere più strumenti per evitare gli errori del passato.
Occhi puntati su Europa e Cina – “L’influenza degli interessi legati all’economia dei combustibili fossili, attraverso i Paesi produttori come Arabia Saudita e Russia e le imprese fossili, che insieme predicano la neutralità tecnologica per mantenere lo status quo, ha prevalso sia alla Cop29 che al G20 di Rio, bloccando le azioni necessarie per la transizione verde” spiega Luca Bergamaschi, direttore e Co-fondatore di Ecco, secondo cui “gli occhi ora sono puntati su Europa e Cina per capire se, con l’uscita di scena degli Stati Uniti, decideranno di lavorare insieme per fare da traino all’azione globale per il clima”.