Economia

Manovra e dl fiscale, vertice di maggioranza sui nodi: canone Rai, taglio della seconda aliquota Irpef, sindaci del Mef nelle aziende

Confermare il taglio del canone Rai a 70 euro, come chiede la Lega? Aumentare le pensioni minime come vuole Forza Italia, che continua anche a spingere per il taglio della seconda aliquota Irpef dal 35 al 33% nonostante i deludenti risultati della prima tranche del concordato preventivo biennale con cui si intendeva finanziarlo? Confermare la norma sui controllori del Mef nei collegi sindacali delle società che ricevono contributi pubblici, limitandosi ad alzare a 1 milione di euro la soglia che fa scattare il monitoraggio, come propone Fratelli d’Italia? Sono alcuni tra i nodi che i leader di maggioranza cercheranno di sciogliere durante il vertice convocato per le 18 di domenica per spianare la strada alla manovra, bersagliata da 1.200 emendamenti dei partiti che sostengono il governo (ne restano 220 “supersegnalati”), e al decreto fiscale su cui le votazioni sono slittate a lunedì. Ci saranno la premier Giorgia Meloni, i vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini, il leader di Noi moderati Maurizio Lupi e il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti.

Nel pomeriggio però è nato un vero e proprio giallo. Come confermato dallo stesso Tajani nel corso di una trasmissione tv, l’incontro era stato programmato per le 18: a Palazzo Chigi, per l’occasione, era stata aperta la sala stampa per accogliere i giornalisti ma nessuno dei leader è arrivato nella sede del governo. Poco dopo è stata diffusa la notizia che il vertice di maggioranza era in corso a Roma ma in una sede tenuta riservata.

Il primo tasto dolente riguarda il canone Rai: da giorni la Lega ricorda che ridurlo “fa parte del programma di governo” e farlo tornare a 90 euro è inaccettabile. Un emendamento del Carroccio al decreto fiscale prevede quindi che la sforbiciata di 20 euro sia confermata. Ma dalle parti di FdI emerge qualche dubbio anche per questioni legate all’applicazione del Freedom act europeo. Mentre il capogruppo di Forza Italia alla Camera, Paolo Barelli, fa notare che costa ben 430 milioni di euro e “se tale somma fosse davvero disponibile andrebbe usata ad esempio per contribuire a ridurre l’aliquota Irpef al 33% fino a 60mila euro di reddito e per alzare le pensioni basse”. Che sono, appunto, le prime preoccupazioni dei forzisti.

La prima però è ben più costosa dell’intervento sul canone: per l’abbassamento al 33% della seconda aliquota, sommato all’estensione da 50mila a 60mila euro del relativo scaglione, servirebbero 4 miliardi. Il solo ritocco dal 35 al 33% senza toccare gli scaglioni ne richiede comunque 2,5, mentre le adesioni al concordato tra fisco e partite Iva comunicate entro il 31 ottobre porteranno nelle casse pubbliche solo 1,3 miliardi. Il Mef conta sulla riapertura dei termini fino al 12 dicembre, ma prudenza suggerisce di attendere fine anno e muoversi eventualmente a inizio 2025 con un decreto ad hoc.

Sempre dalla Lega arriva la proposta di modificare le limitazioni per l’accesso alla flat tax da parte di pensionati e dipendenti: il viceministro Maurizio Leo non ha chiuso. Forza Italia chiede l’esenzione dalla web tax per Rai, Mediaset e Sky e in generale per tv, radio e testate giornalistiche online: la tassazione digitale andrebbe mantenuta solo per i cosiddetti giganti del web e non allargata a tutti come prevede il ddl di Bilancio. Tra i segnalati di Fratelli d’Italia spicca invece la riapertura del semestre per scegliere se spostare il Tfr ai fondi pensione con il meccanismo del silenzio-assenso: un grande favore all’industria del risparmio gestito che obbligherà 10 milioni di lavoratori che hanno già detto di voler mantenere in azienda la loro liquidazione a farlo una seconda volta. Il partito della premier, con la spiegazione che serve per “accelerare l’attuazione del Pnrr, firma anche una proposta che chiede di non applicare alle assunzioni nella p.a. legate al Piano il limite del 20% di contratti a tempo e somministrati rispetto al numero complessivo dei contratti a tempo indeterminato. Il capogruppo Dem in commissione Lavoro alla Camera Arturo Scotto accusa il centrodestra di voler “rendere nei fatti ‘eterno’ il precariato“.