C’è una gran confusione attorno all’attuazione dei nuovi Livelli essenziali di assistenza per coloro che soffrono di disturbi del comportamento alimentare (dca). Il 30 dicembre 2024 sarà aggiornata la lista di prestazioni che il Servizio sanitario nazionale deve garantire a tutti i cittadini, gratuitamente o tramite il pagamento del ticket. Dopo quasi otto anni di rinvii, migliaia di pazienti dovrebbero poter finalmente accedere alle prestazioni a cui hanno diritto, senza doversi rivolgere alla sanità privata o senza dover migrare in altre regioni per curarsi, non potendo accedere a servizi adeguati a casa loro. Ma tra questi non ci sono i pazienti affetti da dca, circa 4 milioni di italiani (secondo stime in difetto), di cui la maggioranza adolescenti. Per loro l’accesso alle cure resta un miraggio.

Le lunghissime liste d’attesa che si formano nei pochi centri pubblici, diffusi a macchia di leopardo nel Paese, non permettono di accedere in tempi utili a una diagnosi e di conseguenza a una terapia. Per questo le associazioni da anni si battono per far sì che ai dca venga riservato un capitolo autonomo nei Lea, con un budget dedicato, e non, come avviene adesso, rientrando sotto l’ampio ombrello dell’area della salute mentale. La legge di bilancio 2022 aveva predisposto lo scorporo, ma da allora non sono stati ancora adottati i decreti attuativi. E, nel frattempo, i dca diventano un business per i centri privati, sulla pelle dei malati.

Le stime parlano di 4mila morti ogni anno, ma sono numeri in difetto. “I casi sono in aumento e noi siamo impotenti”, commenta a ilfattoquotidiano.it Mariella Falsini, presidente della Fondazione fiocchetto lilla, associazione che si occupa di sensibilizzazione, prevenzione e supporto per chi soffre di dca. “Il mancato scorporo delle malattie alimentari nei Lea è coerente con il modo in cui queste patologie vengono considerate nel nostro Paese. Non hanno peso, sono invisibili, nonostante affliggano molti giovani e abbiano un’alta mortalità. Non vengono neanche mai menzionate nei report delle istituzioni, non ci sono studi specifici a riguardo. Da tempo diciamo che occorrerebbe istituire un osservatorio epidemiologico dedicato, perché al momento non abbiamo neanche dati certi. Solo stime, anzi, sottostime”, spiega Falsini.

Lo scorso marzo il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha annunciato la revisione delle prestazioni mutuabili per i pazienti affetti da dca. Il ministro ha promesso che, nei nuovi Lea attivi dal 30 dicembre, sarebbero state inserite 16 nuove prestazioni di specialistica ambulatoriale, appropriate per il monitoraggio delle malattie alimentari. Ma per controllare che effettivamente queste prestazioni siano state attivate, bisognerà aspettare che i codici di esenzione relativi ai dca vengano aggiornati, probabilmente da fine dicembre. “Per ora non sono tranquilla – dichiara Falsini -. In ogni caso, anche se ci saranno, non sono quello che ci serviva. Sono importanti, ma non avranno grande impatto”, commenta. “Quello che però è già certo – prosegue – è che non ci sia stato lo scorporo che chiediamo da tempo. Abbiamo scritto più volte alla Commissione nazionale aggiornamento Lea, ma non ci ha mai risposto nel merito su questo”. La creazione di un capitolo a parte per i dca, sottolineano dalla Fondazione, avrebbe garantito lo stanziamento da parte del Mef di fondi specifici, dedicati alla cura di questi pazienti. “Siamo sempre lontani anni luce dalle richieste che abbiamo fatto. Le nostre rivendicazioni hanno portato solo al rifinanziamento dei 10 milioni da destinare al Fondo per il contrasto dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione, ma sono briciole”, prosegue.

Anche se le nuove 16 prestazioni verranno effettivamente attivate, resta il problema di accedere in tempi utili alla prima visita. A causa delle lunghissime liste d’attesa, per ottenerla in un centro pubblico si è costretti ad aspettare mesi. Ma è durante la prima visita che al paziente viene fatta la diagnosi necessaria per ottenere l’esenzione. Senza la diagnosi, resta impossibile accedere alle prestazioni tramite il Ssn. Un cane che si morde la coda. E la sanità privata ne approfitta: “Ultimamente fioccano molte strutture private perché nelle malattie alimentari ci vedono un business – spiega la presidente -. Alla nostra Fondazione arrivano molte mail da questi centri. Ci chiedono di reperire persone perché loro hanno posti. Siamo davvero alla frutta”.

Con lo scorporo dei dca nei nuovi Lea sarebbe possibile superare l’imbuto iniziale rappresentato dalla prima visita. I fondi dedicati permetterebbero l’apertura di nuovi ambulatori sul territorio e l’assunzione di professionisti. Per trattare le malattie alimentari, infatti, servono almeno tre figure: dietista, psichiatra e psicologo. “Prima ancora delle prestazioni, a mancare sono i luoghi di cura e i professionisti formati per lavorarci dentro”, dichiara a ilfattoquotidiano.it Stefano Tavilla, vicepresidente della Fondazione. “Quindi se anche dovessero esserci queste 16 nuove prestazioni promesse da Schillaci, non servirebbero a nulla – commenta -. Rimarranno cose astratte a cui non si riuscirà ad accedere, se non dopo attese infinite. Le persone malate dovranno comunque aspettare mesi per avere una prima visita in un centro pubblico. A Roma, per esempio, ce ne vogliono sei. In tutto questo tempo, un caso in esordio può peggiorare molto, diventare grave e costringere il malato a un percorso di cura più lungo e impegnativo. Prima si riconoscono queste malattie e più è efficace il trattamento, sia come esito finale che come tempi di guarigione”.

E la cosa che più sconforta, spiega Tavilla, è che i pazienti aspettano da anni che venga attuata una legge che già esiste. Ma nonostante le richieste delle associazioni, manca ancora il decreto attuativo che permetterebbe di attivare quanto previsto dai commi 687-689 della manovra 2022, approvata il 30 dicembre 2021. “Oltre all’aspetto pratico, economico, riconoscere queste malattie in un capitolo autonomo dei Lea avrebbe un significato simbolico importante – spiega il vicepresidente della Fondazione -. Questa idea di precarietà che arriva dalle istituzioni non fa bene al malato, a chi ogni giorno fa fatica a essere riconosciuto. Ma sono anni che ne parliamo e non cambia mai niente”.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

25 novembre, a Roma il corteo di Non Una di Meno. Campisi (D.i.Re): “Valditara? Nei centri antiviolenza 22 mila donne in 10 mesi”

next
Articolo Successivo

Molestie sul lavoro, assenza di referenti per le denunce e codici facoltativi: tutto quello che manca per la tutela delle lavoratrici

next