Va bene che si tratta di un remake (El cuerpo di Oriol Paulo – 2012) e mettiamoci pure che all’apparenza ha un ritmo conclamato da thriller modello cinema mangia e bevi, ma il film di Alfieri ha tutto quello che serve, e ce l’ha ben disposto, del noir
Quindi anche in Italia sappiamo produrre e girare i (post) noir. Il Corpo – Fuori Concorso al Torino Film Festival 2024 – di Vincenzo Alfieri ne è la plastica, sinuosa, matura conferma. Va bene che si tratta di un remake (El cuerpo di Oriol Paulo – 2012) e mettiamoci pure che all’apparenza ha un ritmo conclamato da thriller modello cinema mangia e bevi, ma il film di Alfieri ha tutto quello che serve, e ce l’ha ben disposto, del noir. A partire da quell’idea basilare che in Il Corpo è sempre notte, piove, campeggiano neon in ambienti chiaroscuri, c’è un omicidio misterioso e un colpevole accerchiato, si attivano strani stralci onirici orrorifici, e c’è pure il detective anticonvenzionale. “Mia moglie mi ha sposato per fare un dispetto a un uomo. E quell’uomo ero io”, spiega Bruno Forlan (Andrea Di Luigi) sull’altare del matrimonio dopo che Rebecca (Claudia Gerini, femmina fatalissima e fatalona) gli ha fatto l’ennesimo scherzo fingendo di non accettare di sposarlo.
Per la cronaca: Rebecca è ricca sfondata e possiede mezza industria farmaceutica europea; Bruno è un professorino spiantato che sposandosi con lei diventa altrettanto ricco e sfondato. Ma la disfunzionalità della coppia – giovane/vecchia, povero/ricca – è insanabile ed è chiaro che si corre subito al ritrovamento del cadavere di lei e ai sospetti che cadono su di lui con vecchia e nuova amante. Come se non bastasse dall’obitorio viene pure trafugato il cadavere di Rebecca e il guardiano finisce all’ospedale dopo essere stato investito sottto la fitta pioggia. La lunga notte di Forlan, convocato all’obitorio da uno sgualcito, spiritoso e decisissimo ispettore Cosser (Giuseppe Battiston), continuerà tra allucinazioni, omissioni e insospettabili apparizioni. La fine non è nota (e non va spoilerata, sul serio), ma Il Corpo non gira mai a vuoto. Nemmeno quando Alfieri sembra perdersi a metà film tra L’elemento del crimine di Von Trier e Una pura formalità di Tornatore.
La ripetizione metaforica, però, vuoi architettonico-ambientale (la pioggia gocciolante ovunque), vuoi meramente prosaica da gatto col topo (Cosser vs Forlan e viceversa) rendono il film incredibilmente ipnotico, enigmatico e invogliante. Grazie alla torbida fotografia di Andrea Reitano e all’incredibile ricerca di spazi casalinghi da architettura cubista, Il Corpo si plasma come un voluttuoso mistero da risolvere prima che in troppi (o forse nessuno) si faccia male. Il filo contorto ma vitale della narrazione (Giuseppe Stasti allo script – The bad guy) è sì traino intonso dell’attenzione spettatoriale, ma è Alfieri nello sporcare vite e traiettorie, a sfidare l’occhio con posizionamenti e movimenti di macchina inattesi, a formare ex novo un immaginario cupo e tempestoso da tutto in una notte con lampi di flashback, una codina all’alba, e un finale carcerario sorprendente e risolutivo. Alfieri scivola sulle superfici piane dell’alta borghesia industriale romana, si incunea rudemente e perfino un po’ fetidamente nelle pieghe psicologiche del (presunto) omicida, esponendo l’inevitabilità dei destini segnati dei protagonisti. Battiston dimagrito di parecchi chili, imponente e rinsecchito, astuto e determinato, recita in stato di grazia la parte più archetipica della carriera. Un paio le sequenze da urlo girate da Alfieri: la festa in casa (sembra Babylon di Chazelle) e l’avvelenamento/non avvelenamento di Rebecca in piscina. Non che Alfieri sia Hitchcock, ma è difficile in Italia rintracciare un regista che ha il totale, sensato e spettacolare controllo del film e dei meccanismi di genere. In sala dal 28 di novembre.