Slitta il decreto giustizia all’ordine del giorno del Consiglio dei ministri. Su richiesta del vicepremier Antonio Tajani, la bozza di provvedimento, che conteneva una nuova norma-bavaglio per i magistrati e un inasprimento della disciplina sui reati in materia di cybersicurezza, sarà discussa alla prossima riunione. A quanto apprende l’Ansa da palazzo Chigi, Tajani ha chiesto il rinvio della discussione in quanto i ministri di Forza Italia, il partito di cui è leader, non potranno essere presenti alla seduta per diversi impegni. Il nodo è ancora l’attribuzione alla Dna, la Procura nazionale antimafia, del potere d’impulso e coordinamento delle indagini sul nuovo reato di estorsione informatica, introdotto dal decreto sulla cybersicurezza convertito in legge a giugno: una scelta su cui nelle scorse settimane si era già registrata la contrarietà degli azzurri.
A confermarlo è il capogruppo al Senato Maurizio Gasparri: “Quanto previsto nel decreto, che dispone potenziamenti in materia di reati informatici per la Procura nazionale antimafia, che su questo fronte avrebbe nuovi poteri impulso e coordinamento, merita ancora una riflessione nel governo”, dice. “Così come è stata concepita, la bozza inerente a questo tema non può passare senza un esame approfondito dell’intero Cdm, dal quale potrebbero emergere alcune osservazioni su dettagli da approfondire e forse rivedere. Del resto non è una materia che può essere affrontata senza tutta la coalizione, di cui alcuni membri oggi sono assenti per altri importanti impegni”.
La stretta sulla cybersicurezza è contenuta all’articolo 8 della bozza: si prevede, tra l’altro l’arresto obbligatorio in flagranza per il delitto di “accesso abusivo a sistemi informatici o telematici di interesse militare o relativi all’ordine pubblico o alla sicurezza pubblica”, consentendo però allo stesso tempo agli investigatori – su autorizzazione del pm – di ritardare la cattura per acquisire nuove prove. Il reato di estorsione informatica viene inoltre potenziato prevedendo la confisca obbligatoria degli strumenti utilizzati, la competenza della Procura distrettuale (cioè quella che ha sede nella città capoluogo di Corte d’Appello) e soprattutto affidando il potere d’impulso e coordinamento delle indagini alla Dna.
La norma più discussa del provvedimento, contenuta all’articolo 4, è però una modifica alla legge sugli illeciti disciplinari dei magistrati che punta a punire le toghe se prendono posizione in pubblico sui temi dell’attualità politica – ad esempio con un intervento a un convegno o un’intervista a un giornale – impedendogli di occuparsi di qualsiasi caso attinente a quei temi. Se al momento tra gli illeciti è prevista “la consapevole inosservanza dell’obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge“, il testo messo a punto dall’esecutivo aggiunge le parole “o quando sussistono gravi ragioni di convenienza“. E a valutare queste ragioni è il governo, cioè il ministro della Giustizia, che può esercitare l’azione disciplinare nei confronti di giudici e pm “disobbedienti” mandandoli a processo di fronte al Consiglio superiore della magistratura.