Da Malaga a Malaga, passando per Melbourne, Parigi, New York, Shanghai, Torino. Tappe di una conquista senza precedenti, che fino a qualche anno fa sembrava impossibile. Un’egemonia che si riassume in quattro parole: l’Italia domina il tennis. Dal maschile al femminile, dal singolare al doppio. La vittoria bis nella Coppa Davis (la terza nella storia azzurra) rappresenta il punto esclamativo su un anno clamoroso, che pone la nostra racchetta come movimento sovrano a livello globale. Un dominio composto da tanti fattori, vittorie e sconfitte, traguardi raggiunti, tabù spezzati e prime volte storiche. Un puzzle tricolore che ha come base di partenza un nome e un cognome ben precisi: Jannik Sinner.
Trascinatore silenzioso, fonte di ispirazione generazionale e dominatore efferato, Sinner è l’uomo copertina di un movimento riuscito a prendere in mano tutto il tennis mondiale. Il protagonista che, insieme a Carlos Alcaraz, ha chiuso l’era dei Big Three, aprendo un nuovo capitolo. L’altoaltesino ha indicato la via con la sua esplosione della fine del 2023, e poi si è consacrato nell’arco di questa stagione. Agli Australian Open ha riportato uno Slam in Italia dopo 47 anni dal Roland Garros di Adriano Panatta del 1976, a Parigi è diventato il primo italiano nella storia ad essere numero 1 del mondo, allo US Open il primo a vincere due Major in una sola stagione, a Torino il primo a trionfare alle Atp Finals. In mezzo, 73 vittorie e appena 6 sconfitte e altri cinque titoli (i Masters 1000 di Miami, Cincinnati e Shanghai e 500 Rotterdam e Halle).
Ultimo tassello, la replica in Coppa Davis, dove è stato ancora una volta il porto sicuro della squadra di Filippo Volandri, sia in singolare che in doppio. Incontenibile per chiunque. Undici mesi che hanno consegnato all’Italia un giocatore che da queste parti non si era mai visto. “I colpi di Sinner sembrano esistere dai tempi dell’asilo. Non si è mai visto insomma un tennista italiano più dotato”, aveva scritto Gianni Clerici (scomparso nel 2022) nel novembre 2019, quando l’altoatesino aveva solo 18 anni ed era numero 96 della classifica. Chissà cosa avrebbe scritto oggi, di fronte a tutta questa superiorità. E chissà cosa avrebbe detto di Jasmine Paolini, la più grande sorpresa del 2024 della racchetta azzurra. Perché, alla fine, Sinner era atteso da tempo allo snodo cruciale, lei invece no, è arrivata nell’élite della Wta quasi dal nulla, senza il minimo preavviso.
Una scalata che anche qui inizia dall’Australia, con i primi ottavi di finale in carriera in uno Slam. Da lì in poi per la lucchese è stato un crescendo inesorabile, che ha subito un’accelerata violenta ed entusiasmante nell’arco di quattro mesi, tra Dubai, Parigi e Londra. Un trittico in cui meraviglia e amarezza si sono mescolate insieme. Alla vittoria nel Wta 1000 sono seguite le due incredibili finali perse al Roland Garros e a Wimbledon, rispettivamente contro Iga Swiatek e Barbora Krejcikova. Risultati che hanno dato una spinta decisiva verso il record (condiviso con Francesca Schiavone) di numero 4 del mondo e per la qualificazione alle Wta Finals di Riad. La prima italiana a riuscirci dopo 9 anni. Traguardi assolutamente impronosticabili solo un anno fa, quando per la Paolini non si vedeva un futuro oltre la top 25.
Una stagione conclusa con la ciliegina sulla torta, quella che era sfuggita nel 2023 contro il Canada: la Billie Jean King Cup. La quinta per le azzurre, a undici anni di distanza dall’ultima. Una vittoria netta, inequivocabile, in cui la lucchese è stata autentica protagonista, sia in singolare che in doppio, e dove si è messa in mostra anche un’altra azzurra attesa al salto di qualità, Lucia Bronzetti. Vinta insieme anche a Elisabetta Cocciaretto, Sara Errani e Martina Trevisan, la BJK Cup è il segno di un movimento femminile che, dopo i fasti del passato, sta ritrovando una propria dimensione di eccellenza nel suo complesso. Non c’è insomma solo Jasmine Paolini (chiamata comunque a una difficile conferma nel 2025), ma qualcosa di più su cui sperare per il futuro.
Dalla Wta ritorniamo all’Atp, perché il 2024 ha certificato come sotto a Jannik Sinner ci sia tanto, tantissimo di più. Incluso il numero 1 del mondo, sono addirittura 9 i giocatori italiani in top 100. Solo la Francia può vantarne di più con 13. E anche loro hanno contribuito non poco a questa egemonia italiana sul tennis. Tra questi quelli che hanno lasciato le impronte più profonde sono stati Lorenzo Musetti (n. 17) e Matteo Berrettini (n. 35). Il primo ha perso tre titoli in finale (500 del Queen’s e i 250 di Umago e Chengdu), il secondo li ha vinti (250 di Marrakech, Gstaad e Kitzbuhel). Il carrarino dalla sua ha conquistato la prima semifinale Slam della carriera a Wimbledon e ha vissuto una stagione di crescita, mentre il romano ha dovuto convivere con diversi acciacchi fisici che ne hanno minato ancora la continuità di rendimento. Entrambi però hanno raggiunto il proprio picco con la maglia della Nazionale. Musetti indossando la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Parigi e riportando l’Italia sul podio olimpico dopo esattamente 100 anni, Berrettini invece risultando determinante per il bis mondiale in Coppa Davis, prima nei gironi e poi nella fase finale di Malaga. Una vera e propria rivincita per lui dopo la delusione del 2023, quando fu costretto a seguire il successo di Sinner e compagni dalla panchina a causa di un infortunio.
Gli altri in top 100 rispondono ai nomi di Flavio Cobolli (n. 32), Matteo Arnaldi (n. 37), Luciano Darderi (n. 44), Lorenzo Sonego (n. 53), Fabio Fognini (n. 84) e Mattia Bellucci (n. 100). Quello che ha avuto il miglioramento più significativo è il primo. Cobolli non ha vinto nessun titolo in stagione (alla pari di Arnaldi), ma ha raggiunto la finale nel 500 di Washington, persa contro Sebastian Korda. Una stagione in cui è arrivato l’esordio in azzurro e dove non sono mancate partite emozionanti, perse per un soffio e rimaste impresse nella mente di molti. Come quella contro Holger Rune al Roland Garros o quella contro Alejandro Tabilo a Wimbledon. Tutte e due sfuggite al quinto set. Chi invece un successo lo ha portato a casa è Darderi, nel 250 di Cordoba, così come Lorenzo Sonego. Il torinese non ha vissuto una stagione facile, ma è riuscito a mettere il suo timbro di questa annata storica per l’Italia vincendo il 250 di Winston-Salem contro Alex Michelsen. Una vittoria arrivata due anni dopo l’ultima.
Il singolare, come accennato in precedenza, non è l’unico terreno che il nostro tennis ha conquistato. Anche il doppio ha subito l’onda azzurra, sia nel maschile che nel femminile. Le coppie Andrea Vavassori-Simone Bolelli e Jasmine Paolini-Sara Errani hanno chiuso l’anno in top 10, rispettivamente in quinta e quarta posizione nella Race. Risultati che hanno significato le qualificazioni alle Atp e alle Wta Finals. Due exploit grazie ai quali l’ultimo torneo dell’anno ha visto la partecipazione di un rappresentante italiano in ogni disciplina. Un dato emblematico di questo 2024. Tutto ruota attorno a quello che è successo a Parigi, con Paolini-Errani capaci di mettersi al collo la medaglia d’oro, dopo aver vinto anche gli Internazionali d’Italia a Roma e aver fatto finale al Roland Garros. E non va dimenticato nemmeno il successo nel Wta 500 di Pechino, fondamentale per l’obiettivo Finals. Lo stesso torneo che hanno vinto anche Vavassori e Bolelli, dopo Halle e Buenos Aires. Il duo azzurro ha dato spettacolo soprattutto nella prima parte di stagione, in cui sono arrivate due soddisfazioni e insieme due delusioni amare: le finali raggiunte ma perse all’Australian Open e al Roland Garros. Finito qui? Assolutamente no. Perché un’egemonia totale come quella azzurra non può dirsi tale senza la disciplina meno chiacchierata, il doppio misto. E anche qui l’Italia ha messo la propria firma di peso, totalmente inaspettata. Allo US Open, Sara Errani e Andrea Vavassori sono diventati la prima coppia italiana a vincere uno Slam nel doppio misto. Insomma, ovunque ci sia tennis ci sono i colori azzurri.