Nel 2023 la spesa per armi, munizioni ed eserciti ha raggiunto il massimo storico a livello globale, a 2.443 miliardi di dollari, con un incremento del 6,8% rispetto al 2022. Significa una spesa di 306 dollari per ognuno degli 8 miliardi di abitanti del pianeta. Emerge da una ricerca dell’area studi di Mediobanca sull’industria delle armi. A spingere la spesa è l’escalation delle tensioni geopolitiche innestate dal conflitto in Ucraina e da quello in Medio Oriente ma anche in Sudan e Myanmar.

Naturalmente questo significa anche ricavi e profitti in aumento per chi le armi le produce. Se a livello globale si considerano le società con ricavi rivenienti dalla sicurezza superiori al mezzo miliardo di euro, il giro d’affari dell’industria mondiale della Difesa sfiora i 615 miliardi di euro nel 2023 (+9,8% sul 2022). Escludendo gli operatori per i quali non si ha visibilità di dati economico-finanziari (in massima parte i big asiatici) e quelli di minore dimensione, l’analisi dell’industria mondiale della Difesa si concentra sulle 40 principali multinazionali che rappresentano quasi il 60% del giro d’affari.

A dominare sono le aziende statunitensi, con una quota del 68% dei ricavi aggregati nel 2023, seguiti dai player europei con il 27% e da quelli asiatici con il 5%. L’Italia, rappresentata da Leonardo e Fincantieri, conta per il 14% del giro d’affari europeo e per il 4% di quello mondiale. Le prime cinque posizioni sono detenute esclusivamente da gruppi a stelle e strisce che da soli concentrano oltre la metà del giro d’affari generato dal core business Difesa. Si tratta, nell’ordine, di Lockheed Martin (55 miliardi di euro nel 2023), Raytheon Technologies (36,8 miliardi), Boeing (31 miliardi), Northrop Grumman (30,6) e General Dynamics (26,8). Da notare che i primi azionisti di tutti questi gruppi sono i colossi della finanza Usa Blackrock, State Street, Vanguard, Capital Research.

I player europei appaiono di un certo rilievo, ma sono ancora lontani dai colossi statunitensi: la loro dimensione media è pari a poco più di un terzo di quella dei gruppi di oltre oceano. La classifica europea è guidata dalla britannica Bae Systems (25,8 miliardi di euro), seguita da Airbus (11,8), Leonardo (11,5), la francese Thales(10,1) e la tedesca Rheinmetall (5,1); Fincantieri (2 miliardi) è 13esima.

L’industria italiana della Difesa è estremamente sviluppata e diversificata, segnala Mediobanca, e può essere rappresentata come una piramide al cui vertice si trovano i due big player Leonardo e Fincantieri (attivi anche in altri settori), entrambi a controllo statale, che agiscono come prime contractors nei segmenti più rilevanti del mercato, in termini di volume d’affari e di contenuti tecnologici. In seconda fascia si collocano società di dimensioni più contenute specializzate spesso su singoli apparati o sottosistemi.

Infine, una terza fascia di aziende è costituita da una galassia di piccole e medie imprese, eccellenze da tutelare e sviluppare. Rilevante la presenza di gruppi stranieri: 36 delle 100 aziende italiane hanno una proprietà estera che controlla il 25,1% del fatturato aggregato (di cui il 12,2% europeo e il 10,1% statunitense). Questo pone l’autosufficienza italiana nelle forniture di sicurezza su un piano meno nazionale.

Il futuro, per il settore, si annuncia roseo. Per i maggiori gruppo mondiali del settore si attende un incremento dei ricavi del 9% nel 2024, a un ritmo più che doppio rispetto a quello del Pil globale (+3,2%), trainato dai gruppi europei in accelerazione su quelli a stelle e strisce: nel 2024 si stima che le aziende del Vecchio Continente mettano a segno un +11% sul 2023 rispetto al +8% dei big statunitensi.

Per il 2025, scrive Mediobanca, in un contesto di disinflazione e tassi in discesa, ma di frammentazione del mondo in blocchi sempre meno dialoganti, si prevede una crescita del giro d’affari del 12%, comunque ancora superiore a quella del Pil mondiale (+3,2%). Tale previsione si basa su un ambiente geopolitico relativamente stabile che continua a sostenere i budget per la Difesa, senza considerare i rischi legati a nuovi conflitti e a spinte protezionistiche che potrebbero determinarne un ulteriore aumento, ma include i potenziali effetti che l’amministrazione del neo-eletto Trump potrebbe avere sull’industria della sicurezza, traducendosi nell’acquisizione di ordini aggiuntivi di una certa rilevanza.

Secondo l’amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel “Una buona parte del mondo occidentale, e dell’Europa in particolare, si è trovata a fronteggiare questo scenario in condizioni di relativa impreparazione“. “Cominciamo a fare gli eurobond che sarebbe già un primo passo poi vediamo anche le economie più avanzate dal punto di vista degli investimenti e del capital market come l’America per trovare spunti”, ha aggiunto.

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