Valutare “eventuali profili di responsabilità disciplinare in capo ai magistrati titolari delle indagini” sulla morte di Matilde Lorenzi, la ventenne sciatrice azzurra che ha perso la vita il 29 ottobre scorso dopo essere caduta durante un allenamento sul ghiacciaio della val Senales, in Alto Adige. Con questo obiettivo il membro togato del Consiglio superiore della magistratura Ernesto Carbone, ex deputato eletto in quota Italia viva, ha chiesto l’apertura di una pratica al Comitato di presidenza dell’organo di autogoverno delle toghe. Già il giorno dopo la morte la Procura di Bolzano aveva autorizzato la sepoltura del cadavere, comunicando che nella vicenda “non si ravvisano responsabilità penali”. Molti addetti ai lavori però hanno sollevato seri dubbi sulle condizioni di sicurezza della pista, a partire dall’ex sciatore Paolo De Chiesa, che ha sottolineato l’assenza di una rete di protezione nel punto dove la giovane atleta ha perso l’equilibrio, molto vicino al fuori pista (video). Per questo motivo Carbone chiede di “fare chiarezza circa la correttezza e la completezza” dell’operato dei pm altoatesini e di accertare se abbiano svolto le loro funzioni con “negligenza o trascuratezza“. La Procura, scrive infatti, “ha provveduto a chiudere le indagini in modo sbrigativo, nel giro di poche ore, non ravvisando alcuna responsabilità penale nella vicenda, che, invece, come si apprende da fonti di stampa, presenta numerosi aspetti poco chiari“.

Le indagini, sottolinea il consigliere togato, “sono state chiuse sulla base di un rapporto dei Carabinieri nel quale si dichiara che la pista era dotata di protezioni: tuttavia, da fotografie scattate dall’alto immediatamente dopo l’incidente, è facilmente riscontrabile che, nel luogo in cui la sciatrice si trovava adagiata nel dirupo a seguito della caduta, mancavano reti di protezione a dividere la pista di allenamento dal fuori pista non battuto. Fra la pista e il fuori pista, in particolare, è presente un dislivello di 2-3 metri e ciò aggrava maggiormente la condizione di assenza di reti di protezione per scongiurare il rischio cadute per gli sciatori”, aggiunge. “In secondo luogo”, prosegue Carbone, “il tracciato sul quale Matilde e gli altri atleti si stavano allenando, come risulta evidente dalle fotografie, è collocato molto a ridosso del bordo pista: gli atleti, pertanto, non avevano alcuna possibilità di vie di fuga. Dalle immagini è agevole osservare che la distanza tra le porte più esterne e il bordo pista era minima e che le condizioni di sicurezza erano del tutto inadeguate per l’allenamento degli atleti. Perché la Procura non ha condotto alcun accertamento in merito a responsabilità legate alla posizione e alle caratteristiche del tracciato sul quale gli atleti si stavano allenando?”, si chiede.

Ancora, prosegue il documento, “sul corpo della ragazza non è stata eseguita l’autopsia, per indagare su quali siano state, veramente, le cause del decesso e, ancor prima, le cause per le quali Matilde ha perso il controllo degli sci, cadendo rovinosamente. In sostanza, non è stato accertato se l’atleta sia morta a causa della caduta sulla pista, oppure per la caduta dopo il conseguente volo fuori pista. Infine, come dichiarato da testimoni, a seguito dell’incidente di Matilde la pista non è stata chiusa e posta sotto sequestro, al fine di espletare le indagini del caso e per la messa in sicurezza, ma è stata lasciata aperta e fruibile agli sciatori, col pericolo che potessero verificarsi altri incidenti”. Ora il Comitato di presidenza del Csm potrà trasmettere la pratica al ministro della Giustizia e al procuratore generale della Cassazione, i due soggetti che per legge possono aprire un’indagine disciplinare nei confronti dei magistrati.

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