Diritti

Reddito di libertà per le donne che denunciano le violenze: fondi bloccati per più di 10 mesi. “Ritardo macroscopico”. “E la maggior parte sono rimaste escluse”

I fondi per il reddito di libertà del 2024 sono stati bloccati per più di dieci mesi. Da gennaio scorso e ancora oggi, le donne che sono uscite da situazioni di violenza e, dopo la denuncia, hanno chiesto il sostegno promesso dallo Stato per l’autonomia sono state messe in stand-by. Un’attesa lunghissima che, già l’estate […]

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I fondi per il reddito di libertà del 2024 sono stati bloccati per più di dieci mesi. Da gennaio scorso e ancora oggi, le donne che sono uscite da situazioni di violenza e, dopo la denuncia, hanno chiesto il sostegno promesso dallo Stato per l’autonomia sono state messe in stand-by. Un’attesa lunghissima che, già l’estate scorsa, ha provocato le proteste di Centri antiviolenza e Comuni, ma che ancora non si è conclusa. “Il decreto di riparto dei fondi”, fanno sapere dal ministero della Famiglia, “è stato firmato da Eugenia Roccella. Ora sono in corso le procedure di formalizzazione”. Ovvero nelle prossime settimane saranno trasferiti i fondi all’Inps e si potrà procedere con l’erogazione. Ma resta il fatto che, per tutto il 2024, i soldi non sono stati stanziati, lasciando centinaia di persone in attesa. Un ritardo paradossale che stride con i proclami delle istituzioni dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin e in occasione della Giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne. “Facciamo un appello perché si intervenga al più presto”, è la denuncia di Mariangela Zanni della rete dei centri antiviolenza D.I.Re. “Noi abbiamo continuato a inoltrare le domande nella speranza che prima o poi vengano accolte. Lo stallo crea un grande clima di sfiducia nelle donne. Le loro vite vanno avanti e non si possono congelare solo perché il governo non sblocca i fondi”. Il ritardo ha impedito anche l’attuazione di un’altra misura introdotta in pompa magna: lo sgravio fiscale per le aziende che assumono donne vittime di violenza e che, come condizione, devono ricevere il reddito di libertà. Da mesi protesta anche l’Anci: “Si tratta di un ritardo macroscopico”, ha dichiarato Maria Terranova, fino a ottobre scorso con la delega alle Pari opportunità dell’Associazione, “che dimostra come su un tema così complesso non ci sia la giusta attenzione. Una pagina brutta che richiama le istituzioni alle loro responsabilità”. Eppure proprio un anno fa, lo stesso governo Meloni ha reso la misura strutturale e l’ha rifinanziata con il contributo delle opposizioni che hanno devoluto alla causa 40 milioni di tesoretto per la finanziaria. Ma poi dagli annunci, non sono seguiti i fatti. “E già sappiamo che i soldi in arrivo non basteranno per il numero di richieste”, fanno sapere i tecnici degli enti locali.

La misura e le origini del ritardo – Il reddito di libertà è una delle misure più concrete per il sostegno alle donne che escono da una situazione di violenza. Ma se ne parla pochissimo, sia a livello politico che mediatico. Istituito dal governo Conte 2 a dicembre 2020, coniste in 400 euro mensili che vengono concessi per un periodo massimo di un anno. Un budget che si può sommare ad altri sostegni e che viene pensato per dare supporto a un percorso di autonomia individuale. Inizialmente vennero stanziati 3 milioni di euro, poi integrati con altri nove milioni al primo giugno 2022. Il governo Meloni, con la legge di Bilancio 2024, ha destinato 10 milioni di euro annui per il triennio 2024-2026, che poi scenderanno, salvo ulteriori finanziamenti, a 6 milioni di euro dal 2027. Proprio la stabiliazzazione della misura ha richiesto molto tempo e innumerevoli sono stati gli ostacoli burocratici. Il 30 ottobre scorso, la ministra Roccella ha risposto a un’interrogazione Pd sul tema e si è giustificata dicendo che “è stata necessaria un’istruttoria molto complessa”. Ha ammesso che “l’impianto del decreto era stato “concordato informalmente a livello tecnico a giugno”, ma poi ha accusato le regioni di aver rallentato l’iter a causa di “un ripensamento”. Per questo, ha detto, è stato necessario un ulteriore passaggio e quasi un anno dopo siamo ancora senza fondi erogati. Alla ministra però vengono contestati i tempi: se negli anni precedenti, massimo ad aprile si riuscivano a distribuire i fondi, quest’anno si è arrivati a giugno per discutere sul testo del provvedimento. E la revisione, spiegano gli amministratori, è stata proposta per garantire una maggiore platea di beneficiarie: il governo voleva passare a una rata da 500 euro per 18 mesi, ma è stato proposto di scendere a 12 mesi per poter rispondere a più richieste. La ministra, sempre a Montecitorio, ha poi rilanciato dicendo che già “nella passata legislatura”, c’è stato un caso in cui, nel 2022, sono state stanziate le risorse “anche del 2021” “per cui il provvedimento di riparto è arrivato nell’esercizio finanziario successivo”. Che il ritardo sia già avvenuto in passato però, non basta a giustificare la lentezza nell’erogazione dei fondi che si è verificata negli ultimi mesi.

Ma i soldi non bastano ancora – Un primo campanello d’allarme era arrivato dalla diffusione dei dati Inps sul 2023. Nell’ultimo report, pubblicato a fine maggio scorso infatti, si diceva che dall’avvio della misura sono arrivate 6.489 domande e, al 31 maggio, ne erano state “accolte e liquidate” solo 2.772. In supporto si sono mosse le regioni di Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia che hanno stanziato fondi ulteriori e ne hanno consegnate rispettivamente 531 e 98. Le altre 3.026? Sono in attesa. E a queste vanno ora sommate tutte le domande accumulate negli ultimi sei mesi. A preoccupare è il fatto che le richiedenti sono “lavoratrici fragili”, molte delle quali sconosciute all’Inps e quindi senza nessuna tutela. Il 41% inoltre, sono nate all’estero, il 37% nelle regioni del Centro Sud e il 22% al Nord. Da notare inoltre che, nella maggior parte dei casi, il partner risulta più stabile economicamente, dimostrando un forte squilibrio nella coppia e rendendo necessario il sostegno finanziario per poter uscire dalla violenza.

“Le donne attendono”, ha denunciato ancora Zanni. “Ma per il momento i soldi non sono arrivati”. Per la rappresentante di D.I.Re si tratta di “una ingiustizia”: “E’ il segnale di uno scarso impegno politico sul tema, nonostante la comunicazione del governo”. E “tra l’altro per una misura che è anche simbolicamente molto importante perché va direttamente alle donne, senza alcun tipo di discriminazione”. I soldi infatti, possono essere usati per mettere da parte una caparra per una casa o per la gestione dei figli in attesa dell’assegno di mantenimento. “Non cambia la vita, ma inserita in un percorso può fare davvero la differenza. Oltre a essere considerata una forma di risarcimento per quello che lo Stato non ha fatto per prevenire la violenza. La discriminazione però, arriva nel momento in cui i fondi finiscono. E la scarsità di finanziamenti ha fatto sì che solo una minima parte di donne ne abbia potuto usufruire. La maggior parte finora ne sono rimaste fuori”. E loro, dopo la denuncia, “devono andare avanti comunque, con o senza aiuto”. Una situazione di stallo che scoraggia le donne costrette a chiedere aiuto: “Stando al nostro ultimo report”, ha concluso Zanni, “nei primi 10 mesi del 2024 le richieste ai centri antiviolenza sono cresciute del 10 per cento. Quindi le donne si fidano sempre di più dei centri. Il meccanismo si inceppa quando si entra in contatto con le istituzioni”.

A dare l’allarme sono stati anche i Comuni che si sono trovati con decine di domande di aiuto inevase. “Quest’estate abbiamo sollevato il tema”, ha continuato Terranova, sindaca di Termini Imerese in Sicilia. “Io per prima mi sono accorta che i fondi sono terminati. Abbiamo chiesto un incontro alla ministra, ma non ci ha mai risposto. E’ un ritardo macroscopico che dimostra come serva l’attenzione da parte di tutti. Anche del Parlamento che deve vigilare. La donne non possono attendere i tempi della politica”. L’ultimo a protestare è stato l’assessore alle Politiche sociali di Pesaro Luca Pandolfi: “Da noi i fondi sono fermi al 2022, poi la misura non è più stata attiva perché i finanziamenti sono finiti”, ha denunciato. “E la conseguenza è anche che le domande si sono ridotte: perché le donne devono farla se sanno che non arriverà niente?”.

A chiedere conto a Roccella delle lentezze è stato anche il Pd in Aula a fine ottobre: “Ad agosto ci aveva detto che i fondi sarebbero arrivati, ancora non ci sono”, ha detto la deputata Sara Ferrari a ilfattoquotidiano.it. “E’ gravissimo. E’ fondamentale dare a tutte l’informazione che si può uscire in sicurezza dalla violenza e costruirsi un percorso di libertà e di autonomia per sé e i propri figli. Ma tutto questo deve essere vero, certo e garantito sia nella possibilità di riceverlo sia che avvenga in tempi veloci. Non si può tergiversare. Troppe donne tornano a casa per l’impossibilità di mantenersi economicamente”. I dem hanno annunciato un emendamento alla prossima legge di Bilancio per aumentare i fondi per il reddito di libertà. Intanto, dopo più di dieci mesi, riuscire a far arrivare i fondi stanziati, sarebbe già una conquista.