“Citando von Clausevitz il modo più sicuro per perdere la guerra è impegnarsi su due fronti, poi chissà che magari questa volta questa regola non sarà vera”. Giancarlo Giorgetti ha così commentato l’offerta che Unicredit ha lanciato sul Banco Bpm all’alba di lunedì 25 novembre spiazzando tutti. Una reazione scomposta che si riferisce al fronte tedesco di Commerzbank, sul quale la banca milanese è già impegnata, che poco prima aveva fatto anche il vicepremier Matteo Salvini sbottando: “A me le concentrazioni e i monopoli non piacciono mai, ero rimasto al fatto che Unicredit volesse crescere in Germania. Non so perché abbia cambiato idea”. Come dire, neanche troppo velatamente, ma che ci fa Unicredit qui? Non era a Francoforte?

Del resto, che sia italiana, italo tedesca o tutte e due, è chiaro che a 61 anni suonati l’amministratore delegato di Unicredit vuole passare alla storia per aver fatto la più importante operazione di integrazione bancaria europea del nostro tempo. È presto per sapere come andrà a finire con il Banco Bpm. Prestissimo, poi, per quanto riguarda l’operazione Commerzbank, che è finita nel congelatore in attesa delle elezioni di febbraio. Per ora, quindi, il banchiere dovrà accontentarsi di essere ricordato per aver causato le scomposte reazioni di un ministro del Tesoro e di aver mandato letteralmente fuori dai gangheri un vicepremier, entrambi ai vertici della Lega. Al partito dei lumbard, di contro, farebbe molto comodo un riscatto nel mondo bancario che facesse definitivamente dimenticare le disavventure del passato. E la combinazione tra Milano e Siena all’inseguimento del terzo polo (bancario), sarebbe (stata) perfetta per la narrativa sulla Lombardia che rilancia e fa grande la banca che fu feudo della sinistra, causa della sua rovina.

Così Giorgetti a caldo fa sapere che l’offerta che metterebbe da parte Siena e il terzo polo, è stata “comunicata ma non concordata col governo“, precisando che “poi vedremo, come è noto esiste la golden power. Il governo farà le sue valutazioni, valuterà attentamente quando Unicredit invierà la sua proposta per le autorizzazioni del caso”. Un’esagerazione, nel senso che se è vero che in teoria il governo, ai sensi della normativa sui poteri speciali dell’esecutivo, ha diritto di valutare l’operazione, è anche vero che si tratterebbe di un utilizzo “dirompente” che andrebbe a incidere per la prima volta su una “legittima operazione di mercato” da parte di soggetti italiani “dove non sono ravvisabili motivi di carattere strategico”, come fa notare all’Ansa l’avvocato Luca Picotti, analista dell’Osservatorio Golden Power.

Salvini poi, è talmente fuori di sé da arrivare a mettere in dubbio l’italianità di Unicredit: “Ormai di italiano ha poco e niente: è una banca straniera, a me sta a cuore che realtà come Bpm e Mps che stanno collaborando, soggetti italiani che potrebbero creare il terzo polo italiano, non vengano messe in difficoltà”, ha detto. Per poi attaccare la Banca d’Italia dimenticando che la vigilanza sul sistema bancario è in capo alla Bce: “L’interrogativo mio e di tanti risparmiatori è: Banca d’Italia c’è? Che fa? Esiste? Che dice? Vigila? Siccome sono tra i più pagati d’Italia, da cittadino italiano vorrei sapere se è tutto sotto controllo”. Quindi il vero problema: “Non vorrei che qualcuno volesse fermare l’accordo Bpm-Mps per fare un favore ad altri”, ha concluso forse riferendosi a Piercarlo Padoan, l’ex ministro dell’Economia di area dalemiana che portò lo Stato dentro il Monte e oggi è presidente di Unicredit, ma senza incarichi operativi.

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