Diritti

Nessun governo ha trovato soluzioni contro la violenza sulle donne, ma ora stiamo arretrando

E’ iniziato in questi giorni il rituale delle celebrazioni del 25 novembre “Giornata internazionale della violenza contro le donne”.

E se da parte dell’associazionismo ha un senso continuare a far sì che in questa giornata ci sia un’attenzione particolare e un ‘eco mediatica che aiuti a tenere accese le luci su questo dramma, le parole della politica e delle istituzioni suonano ipocrite, piene di impegni e buone intenzioni solo intorno a questa data, a cui seguono pochi fatti concreti. E’ quanto emerge anche dal rapporto realizzato da ActionAid, che assieme all’Osservatorio di Pavia ha analizzato la comunicazione politica sulla violenza di genere da cui risulta che l’interesse della classe politica è limitato: solo l’1,5% dei post sui social media dei rappresentanti politici affronta questa tematica, evidenziando una disconnessione rispetto all’opinione pubblica per cui il tema rappresenta una priorità sociale secondo il 94% della popolazione.

E’ la politica che ha il dovere di capire le cause di questo fenomeno e soprattutto di trovare le soluzioni per contrastarlo, supportare chi ne è vittima e cercare di prevenirlo. E se, come ormai diciamo da decenni, il problema è sistemico chi, se non la politica ha gli strumenti per cambiare questo sistema?

Da quando il tema della violenza contro le donne è emerso sempre più prepotentemente (e parliamo quindi degli ultimi 25/30 anni) nessuno dei tanti governi che si sono succeduti è riuscito a incidere in modo profondo realizzando politiche che annullassero le discriminazioni contro le donne e che perseguissero una vera e concreta parità.

Nessun governo ha pienamente capito che il contrasto non si affronta con singoli provvedimenti, che pure ci sono stati ed alcuni hanno prodotto anche buoni risultati. Nessun governo ha voluto incidere ribaltando un sistema patriarcale che è alla base della violenza contro le donne: il potere è rimasto ben saldo nelle mani degli stessi uomini che per decenni hanno imposto una politica maschilista, a cui faceva comodo che tutto restasse come era sempre stato, certo con qualche piccola riforma, qualche contentino e qualche spruzzata di parità, tanti convegni, tanti dibattiti e belle parole per celebrare il 25 novembre o l’8 marzo.

I grandi cambiamenti e le riforme che hanno inciso nella vita delle donne e che sono stati per lo più attuati negli anni 70, sono avvenuti grazie al movimento femminista che insieme a donne della politica illuminate e combattive hanno dovuto superare macigni per affermare certi diritti: il divorzio, l’interruzione volontaria di gravidanza, il nuovo diritto di famiglia, i consultori e tanti altri.

Oggi stiamo assistendo però nel nostro Paese e in tante Regioni governate dalla destra non solo ad una difesa dello status quo, ma ad un ritorno al passato inseguendo due direttrici: da un lato narrazioni che insinuano l’insicurezza sociale e a cui vengono date risposte con provvedimenti securitari, dall’altro un restringimento sottile, ma incessante, dell’autonomia e dell’autodeterminazione delle donne.

Non ci stanchiamo di dire che il contrasto alla violenza passa anche da tante misure che aiutano le donne ad avere un’autonomia economica: lavoro, servizi di welfare efficienti e a prezzi sopportabili, corsi di formazione e supporti per l’emergenza abitativa, piaga per tante donne che decidono di uscire dalla violenza che le relega in case divenute luoghi di paura. Nessuna politica di questo governo ha inciso su queste criticità. Il tasso di occupazione femminile nel nostro paese è all’ultimo posto in Europa. In Italia solo una donna su due di età compresa tra 20 e 64 anni lavora. I nidi restano un sogno per molte famiglie e le richieste rimangono in gran parte insoddisfatte, soprattutto nel Mezzogiorno (Fonte Istat).

E peggio sarà in futuro visto che in una tabella allegata al Piano Strutturale e di Bilancio di Medio Termine inviato recentemente dal ministro dell’economia a Bruxelles, il governo italiano, a sorpresa, ha scritto che per i nidi la copertura sarà del 15% a livello regionale: il 15% è meno della metà di quel 33% che l’Europa aveva indicato come target da raggiungere entro il 2010 e un terzo del 45%, obiettivo a cui dovremmo arrivare entro il 2030. Nell’accessibilità al servizio sono poi penalizzate le famiglie più povere, sia per i costi delle rette, sia per la carenza di nidi in diverse aree del Paese e di conseguenza le donne più fragili, quelle che hanno più difficoltà a trovare un lavoro. Non sono state più stanziate dal governo molte agevolazioni per far fronte ai canoni di affitto che continuano ad aumentare grazie anche all’inflazione.

Anche rispetto ai fondi destinati ai centri antiviolenza registriamo sempre di più la fatica ad ottenerli, l’incertezza nel programmare gli interventi da attuare, la discontinuità nel riceverli. Un dato per tutti è quello che indica che i fondi per la prevenzione della violenza di genere nel corso del 2023 sono diminuiti del 70%: dagli oltre 17 milioni di euro del 2022 ai 5 milioni attuali stanziati per il 2023. Nell’ultimo bilancio è stato approvato un emendamento che prevede 40 milioni di euro per il contrasto della violenza degli uomini sulle donne, solo grazie alle opposizioni (unite), che hanno scelto di destinare tutte le risorse a loro disposizione per il reddito di libertà, ossia un contributo economico di 400 euro erogato dall’Inps alle donne vittime di violenza, per i centri antiviolenza, per corsi di formazione e prevenzione.

Ma dove le donne rischiano maggiormente un arretramento è sull’autodeterminazione. La libera scelta delle donne sull’interruzione volontaria di gravidanza è messa a rischio ogni giorno di più da odiosi provvedimenti che ostacolano la 194 e dalla presenza dei movimenti antiabortisti nelle strutture pubbliche, presenza avallata dalle Istituzioni con atti e importanti dotazioni economiche, come sta accadendo in molte regioni governate dalla destra. E mentre si usano fondi pubblici per finanziare i no choice, i consultori agonizzano per la diminuzione di risorse e in molte regioni sono stati decimati (in Lazio nel 2021 erano 45, ora 39).

In una sorta di politica schizofrenica da una parte si danno soldi agli antiabortisti adducendo che si vuole supportare la maternità e dall’altra si varano provvedimenti discriminatori contro le donne incinte come sta succedendo in Lazio dove, alcune vincitrici del concorso per l’assunzione in qualità di infermiere in varie strutture ospedaliere, si sono viste recapitare dalle Asl una lettera in cui si comunica che verranno assunte sì, ma successivamente alla conclusione del periodo di maternità. Perché la vera idea che sottende alle politiche della destra è sempre la stessa: sei donna, sei madre, fai figli e stai a casa che è tradizionalmente luogo di segregazione e separazione dalla cosa pubblica e dove, come sappiamo bene si compiono la stragrande maggioranza delle violenze contro le donne.