Vi raccontavo in un post precedente della “strategia di Bertoldo”, il contadino furbo che riesce e evitare di essere impiccato chiedendo la grazia di poter scegliere l’albero al quale essere appeso. Ovviamente, poi sceglie quelli che crescono sulla Luna.

La strategia di Bertoldo la stiamo vedendo ultimamente utilizzata per allontanare il più possibile le energie rinnovabili, osteggiate dalla lobby del petrolio. L’ultima uscita in questo senso è stata quella di Giorgia Meloni, che alla Cop29 di Baku ha ritirato fuori la fusione nucleare come alternativa alle rinnovabili.

Ci sarebbe molto da dire su come il nostro governo sta disperatamente cercando di sabotare l’energia rinnovabile proponendo soluzioni improbabili. Qui, mi limito a raccontarvi qualcosa sulla fusione nucleare. Perché suscita tante speranze? E perché non siamo riusciti a farla funzionare come sorgente di energia in oltre 80 anni di sforzi? (il primo tentativo risale al 1938, da parte di Arthur Kantrowitz).

Per capirlo, dobbiamo tornare indietro agli anni dell’Era Atomica, nel dopoguerra, e all’ondata di ottimismo di quell’epoca. Come spesso succede, la pratica fa giustizia delle speranze eccessive e l’espansione dell’energia nucleare da fissione si è fermata negli anni ’90 per tanti problemi strategici, di sicurezza e di disponibilità di uranio arricchito. Ma già negli anni 1950 si pensava alla possibilità di fare un salto in più verso l’energia dell’idrogeno, quella che aziona le fornaci interne del sole. Si diceva, e si dice tuttora, che la fusione nucleare poteva darci energia abbondante, inesauribile, e persino “talmente poco cara che non sarebbe nemmeno valso la pena farla pagare agli utenti” (una frase di Lewis Strauss del 1954).

Anche qui, la pratica ha fatto giustizia di tante teorie. La fusione ha in comune con la fissione l’aggettivo “nucleare” ma è una tecnologia completamente differente. Mentre la fissione nucleare avviene spontaneamente in un blocco di uranio, la fusione quantitativa dell’idrogeno avviene soltanto alle temperature e pressioni spaventose dell’interno del sole. Sulla Terra, non è che sia impossibile trovare un modo di fondere nuclei leggeri fra di loro, ma tirarne fuori energia utile è un altro discorso. E se uno prova a fare qualcosa per 80 anni e non ci riesce, se ne dovrebbe concludere che è un’impresa veramente molto difficile, se non proprio impossibile.

Ma poi, anche se uno ci riuscisse, ne varrebbe la pena? Se facciamo un po’ di conti, l’energia che il Sole riesce a emettere non è gran cosa comparata alla massa totale, meno di un milliwatt per kg. Cosa ci fa pensare che potremmo fare molto meglio di così sulla Terra? Poi, i tentativi di creare un reattore nucleare a fusione sono basati quasi sempre su un combustibile, il trizio, che non è affatto abbondante sulla Terra, anzi, non esiste proprio. Va creato con delle specifiche reazioni nucleari – una cosa complicata e costosa. Per non parlare poi del fatto che un impianto a fusione che usa trizio o deuterio emette neutroni ad alta energia in grande quantità, con tutti i problemi associati in termini di radioattività e scorie radioattive. Con tutte queste complicazioni, vi immaginate quanto potrebbe costare l’energia da fusione, ammesso che la si possa produrre? C’è chi si è divertito a calcolarlo, ma anche con assunzioni estremamente ottimistiche costerebbe più del doppio dell’energia rinnovabile.

Non voglio dire che non sia interessante fare ricerca su una tecnologia sulla fusione nucleare, ma non sappiamo né quando né se potrà mai funzionare come sorgente di energia utile. Proporla adesso, quando abbiamo la necessità immediata di liberarci dai combustibili fossili è proprio un esempio lampante della “strategia di Bertoldo”. Pur di rimanere attaccati ai combustibili fossili ci stanno proponendo l’equivalente degli alberi che crescono sulla Luna: la fusione nucleare. Ma non sarebbe meglio usare la centrale nucleare a fusione che esiste già, il sole, e tirarne fuori energia a basso costo come sappiamo fare per mezzo delle tecnologie rinnovabili?

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