Finalmente, dopo sei mesi di attesa, la Corte penale internazionale si è decisa ad emettere i mandati di cattura nei confronti dei due principali responsabili del genocidio del popolo palestinese tuttora in corso, e cioè il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex ministro della difesa Yoav Gallant. Si è trattato di un passaggio epocale sulla strada dell’affermazione della giustizia e del diritto internazionale, ma occorre essere ben consapevoli che siamo appena all’inizio dell’opera e del cammino.
Certamente il procuratore generale, che pure inizialmente non aveva certo brillato per spirito d’iniziativa, si è reso conto che, se non avesse agito, avrebbe decretato la definitiva fine della Corte penale internazionale. Troppo evidente infatti era, a qualsiasi sguardo, l’adozione di un doppio standard, per effetto del quale da un lato si era da tempo richiesta la cattura di Putin per un presunto e discutibile caso di rapimento di bambini, in realtà messi in salvo dal conflitto secondo la versione russa, mentre dall’altro si restava clamorosamente passivi e inattivi di fronte a un governo genocida che di bambini ne ha sterminati, mutilati e fatti morire di fame e malattie decine e decine di migliaia in poco più di un anno.
La decisione di Khan, adottata nel maggio di quest’anno, risultava tuttavia estremamente cauta e bilanciata. Da un lato la richiesta non faceva riferimento al crimine di genocidio sul quale nel frattempo sta procedendo la Corte internazionale di giustizia su istanza del Sudafrica cui si è aggiunto un numero crescente di Stati. Dall’altro si è premurato di rivolgere analoga richiesta nei confronti di tre leader di Hamas, due dei quali, ma forse anche il terzo, nel frattempo tolti di mezzo dall’Idf al costo approssimativo di vari civili innocenti “danni collaterali” delle esecuzioni sommarie condotte con bombe statunitensi di qualche tonnellata.
Sembrerebbe però che analoga soluzione sbrigativa non sia per il momento a disposizione dei palestinesi e dei loro alleati, anche se un drone di Hezbollah e un razzo luminoso con intenti forse “dimostrativi”, sparato da israeliani dissidenti, hanno raggiunto negli ultimi mesi la residenza di Netanyahu a Cesarea. La reazione di quest’ultimo è stata come prevedibile degna della sua statura di gangster di mezza tacca. Oltre che a ricorrere alla solita scusante del presunto “antisemitismo”, ha fatto riferimento ad altrettanto presunte molestie sessuali di cui di sarebbe macchiato Khan.
Il ricorso alla scusante dell’antisemitismo, cui ormai non crede più nessuno tranne i soliti politici collusi e giornalisti prezzolati, costituisce a sua volta una vergogna, traducendosi in una banalizzazione inaccettabile di un impegno serio e di fondamentale importanza, quello cioè della lotta senza quartiere contro ogni diffamazione e discriminazione che colpisca le persone di religione ebraica in quanto tali. Che la scusante sia logora lo dimostra del resto il fatto inoppugnabile che parte crescente delle comunità ebraiche, soprattutto i giovani, si stia mobilitando a fianco della Palestina in tutto l’Occidente.
La residua forza di Netanyahu e del progetto genocida che egli incarna coi suoi fidi scherani criminali Smotrich e Ben Gvir è però costituito dalle tenaci complicità dei governi occidentali che gli hanno affidato la salvaguardia dell’ultimo brandello di colonialismo in una regione ricca di risorse energetiche e strategicamente importante.
Scandalosa appare la presa di posizione di Salvini che, dibattendosi scompostamente per salvare una fortuna elettorale in netto declino, finisce per accelerare il suo inevitabile annegamento nella palude del politicamente irrilevante, ma è tutta la compagine governativa delle destre con, si teme, qualche non trascurabile addentellato tra i centristi e nel Pd, che si accinge a sabotare l’operato della Corte penale internazionale.
Su questo occorrerà vigilare attuando le opportune iniziative sul piano politico e giudiziario, rilanciando al contempo la lotta per la repressione delle complicità italiane e internazionali nel genocidio, che si arricchiscono in queste ore di nuovi elementi.
Sulla base dei mandati di cattura emessi dalla Corte penale internazionale, delle ordinanze finora emesse dalla Corte internazionale di giustizia nel caso del genocidio, e del recente Parere della stessa sulle conseguenze dell’occupazione illecita dei territori palestinesi da parte israeliana, cui è seguita una risoluzione dello stesso tenore approvata a stragrande maggioranza dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, è soprattutto ora necessario e urgente bloccare l’esportazione delle armi a Israele. L’indegno massacro infatti continua e le generazioni future non ci perdoneranno la vergogna di aver assistito passivamente al primo genocidio in diretta della storia.