Dazi dal primo giorno alla Casa Bianca. “Il 20 gennaio, fra i miei primi ordini esecutivi, firmerò tutti i documenti necessari per far pagare a Messico e Canada una tariffa del 25% su TUTTI i prodotti che entrano negli Stati Uniti, e sui loro ridicoli confini aperti”. Donald Trump ha affidato al suo social Truth l’annuncio sul suo primo atto da presidente insediato. Il post, pubblicato lunedì mentre in Europa era notte e in Asia si faceva giorno, ha fatto sobbalzare i mercati, ma nelle intenzioni del presidente l’aumento delle “tariffe” ha un carattere politico, e definisce l’agenda del neoeletto presidente repubblicano sia sul piano dei rapporti internazionali che sul piano interno, perché parla agli americani di emergenze sociali e di immigrazione.
L’aumento delle tasse sui beni importati dai tre Paesi, infatti, per Trump rimarrà in vigore “fino a quando la droga, in particolare il Fentanyl, e tutti gli stranieri illegali non fermeranno questa invasione del nostro Paese”. La diffusione del potente medicinale oppiaceo antidolorifico, spesso contrabbandato e assunto senza prescrizione medica, è diventata una piaga sociale di salute pubblica negli Stati Uniti e ha fatto esplodere i tassi di dipendenza. Trump pensa di risolverlo tagliando i canali di approvvigionamento illegale della droga. Secondo il 47esimo presidente degli Stati Uniti, “sia il Messico che il Canada hanno il diritto e il potere assoluto di risolvere facilmente questo problema che si trascina da tempo. Chiediamo che usino questo potere e, finché non lo faranno, è ora che paghino un prezzo molto alto!”.
Il tycoon ha anche minacciato la Cina di dazi del 10%: “Ho avuto molti colloqui con la Cina sulle massicce quantità di droga, in particolare di Fentanyl, che vengono mandate negli Stati Uniti, ma senza alcun risultato”. Nel suo lungo post suo Truth, Trump sostiene di aver ricevuto rassicurazioni dalle autorità di Pechino sul fatto che “avrebbero applicato la loro massima pena, quella di morte, per qualsiasi trafficante di droga sorpreso a fare questo, ma, purtroppo, non hanno mai dato seguito alla loro richiesta, e la droga si sta riversando nel nostro Paese, soprattutto attraverso il Messico, a livelli mai visti prima”.
La risposta di Pechino: “Non ci sono vincitori in una guerra commerciale” – La Cina ha replicato con una nota che sa di minaccia: “Non ci sono vincitori in una guerra commerciale, né il mondo ne beneficerà”, ha scritto su X il portavoce dell’ambasciata cinese a Washington, Liu Pengyu. Liu ha assicurato che la Cina “è pronta a lavorare con tutte le parti a sostegno di un vero multilateralismo, per costruire un’economia mondiale aperta, sostenere lo sviluppo sostenibile e unire i Paesi per affrontare le sfide, raggiungere la prosperità comune e costruire una comunità con un futuro condiviso per l’umanità”.
In un’intervista rilasciata al quotidiano finlandese Helsingin Sanomat, il vicepresidente della Banca Centrale Europea Luis de Guindos ha avvertito che quando si impongono tariffe, bisogna essere pronti a subire ritorsioni da parte della controparte e che questo può innescare un circolo vizioso.
Canada: “La sicurezza dei confini è la nostra priorità” – Anche il Canada ha reagito, riaffermando l’importanza del rapporto con gli Usa e l’impegno sul controllo dei confini. In una nota congiunta, la vice premier canadese Chrystia Freeland e il ministro per la Sicurezza pubblica Dominic LeBlanc hanno sottolineato che “Il Canada attribuisce la massima priorità alla sicurezza delle frontiere e all’integrità del nostro confine comune”. I due ministri definiscono le relazioni con Washington “equilibrate e reciprocamente vantaggiose” e ricordano che Ottawa è essenziale per l’approvvigionamento energetico interno degli Stati Uniti. L’anno scorso il 60% delle importazioni di greggio per gli Usa è arrivato dal Canada. Infine, nella nota si ribadisce la cooperazione tra le forze dell’ordine canadesi e statunitensi “per contrastare la piaga del fentanyl proveniente dalla Cina e da altri Paesi”.
Primi effetti dell’annuncio: mercati asiatici in perdita, dollaro in salita – Gli investitori asiatici si sono ritrovati la notizia di prima mattina e si sono precipitati a vendere le loro azioni sui mercati: la borsa Nikkei ha aperto con una perdita del 2% e il valore del peso messicano è sceso altrettanto (oltre il 2% sul dollaro). Parallelamente il dollaro si è rafforzato sia sulla moneta messicana che su quella canadese. Stabile il prezzo dell’oro, mentre quello del rame è sceso di meno dell’1%.
I produttori di automobili sono stati tra i più penalizzati, con Toyota che ha perso quasi il 3%. Anche i titoli futures europei registrati allo Stoxx 50 sono calati di circa l’1%, trainati al ribasso dall’idea che i prossimi Paesi a finire nel mirino di Trump siano quelli del Vecchio continente.
“Londra ragiona già su contro-dazi: nel mirino Levi’s, Harley Davidson e Jack Daniels” – Il Regno Unito starebbe già ragionando su “tariffe ritorsive” su beni iconici statunitensi come le motociclette Harley Davidson, i jeans o i capi d’abbigliamento della Levi’s e la marca di whiskey Jack Daniel’s.
A differenza del 2016, stavolta i dazi potrebbero arrivare molto più rapidamente. Il governo britannico guidato dal laburista Keir Starmer, ha scritto Politico martedì, ha studiato come rispondere a potenziali dazi che la nuova amministrazione Usa potrebbe imporre sulle importazioni dal Regno Unito, e i tecnici hanno informato il premier di poter riutilizzare le misure già imposte durante la precedente amministrazione Trump, quando Londra era ancora membro dell’Unione europea. Anche a Bruxelles, secondo la testata tedesca del gruppo Axel Springer, avrebbe già pronto un pacchetto di misure simili.