Sono iniziate le grandi manovre sul dossier dei dazi statunitensi, uno dei punti fermi della politica economica di Donald Trump. Lunedì il presidente eletto ha prospettato la possibilità di tariffe su tutti i prodotti che arrivano negli Usa da Canada, Messico e Cina, sin dal primo giorno del suo mandato. Per i due paesi confinanti Trump ha parlato di una tariffa al 25%, per la Cina di un’addizionale 10% rispetto ai dazi attuali. Queste misure, secondo Trump, sarebbero necessarie per reprimere l’immigrazione e il traffico di droga illegale attraverso i confini.

Scott Bessent, gestore di hedge fund, scelto da Trump come prossimo segretario al Tesoro (equivalente del nostro ministro dell’Economia, ndr) è un sostenitore dell’utilizzo dei dazi come strumento per riequilibrare il commercio globale, afflitto da paesi con eccessivi disavanzi ed altri con macroscopici surplus.

Le reazioni non si sono fatte attendere. Nell’incertezza e in attesa di capire cosa accadrà davvero alla fine, il settore che oggi ha mostrato i maggiori segnali di stress è stato quello dell’auto. Non solo in Europa, dove Stellantis ha chiuso in calo del 4,8%, Pirelli del 4,6% e Volkswagen del 2,3%, ma pure negli Stati Uniti. A Wall Street i titoli dei principali costruttori sono tutti in rosso, pesa il timore di ritorsioni.

Un altro settore che rischia di essere particolarmente colpito è quello siderurgico. Messico e Canada sono i principali fornitori degli Stati Uniti sia di alluminio che di acciaio. Gli Usa importano circa il 70% dell’alluminio che utilizzano e il 60% viene dal Canada. Le importazioni di acciaio coprono il 24% del fabbisogno a stelle e strisce, con il Canada che fornisce circa un quarto di questa quantità e il Messico il 15%.Una tariffa del 25% causerebbe un aumento dei prezzi dell’acciaio di 100-150 dollari a tonnellata. Gli Stati Uniti esportano comunque più acciaio verso il Messico di quanto non importino, un’eventuale guerra commerciale penalizzerebbe innanzitutto gli Usa.

I leader delle varie province canadesi sono in allarme e si stanno mobilitando contro i dazi. Per il premier dell’Ontario, Doug Ford, la mossa sarebbe “devastante” sia per i lavoratori americani che per quelli canadesi. François Legault, alla guida del Quebec, la seconda provincia più grande del Canada dopo l’Ontario, ha affermato che i dazi “rappresentano un rischio enorme per le economie del Quebec e del Canada”, e che “dobbiamo fare tutto il possibile” per evitarli”. Nel pomeriggio di martedì il premier canadese Justin Trudeau ha avuto un colloquio telefonico con Trump sull’argomento. “È stata una buona telefonata”, ha detto, aggiungendo di aver parlato di come siano “intense ed efficaci” le relazioni tra i due Paesi. Trudeau ha quindi annunciato anche che convocherà un incontro con i leader delle province canadesi questa settimana per discutere gli sviluppi della situazione. “C’è del lavoro da fare, ma sappiamo come farlo”, ha assicurato.

Più dura la risposta che arriva dal fronte a Sud. “Presidente Trump, non è con le minacce né con i dazi che riuscirete a fermare il fenomeno dell’immigrazione, né il consumo di droghe negli Stati Uniti”, ha detto la presidente messicana Claudia Sheinbaum. “Per affrontare queste grandi sfide, prosegue, sono necessarie cooperazione e comprensione reciproca. All’imposizione di dazi ne corrisponderanno altri in risposta e continueremo così finché non metteremo a rischio aziende comuni come General Motors, Stellantis e Ford Motors Company (che hanno tutte siti anche in Messico, ndr)”.

Pechino avvisa che “Nessuno vincerà una guerra commerciale o una guerra tariffaria” tra Usa e Cina. Lo ha affermato in una nota il portavoce dell’ambasciata cinese a Washington Liu Pengyu. “La Cina ritiene che la cooperazione economica e commerciale” bilaterale sia “reciprocamente vantaggiosa”, ha aggiunto Liu.

“Non è una buona notizia”, ha detto l’Alto rappresentante Ue Josep Borrell dopo l’annuncio del presidente eletto. “Noi siamo pronti, siamo preparati e abbiamo contromisure, io non sarò nella prossima commissione e non posso dirvi cosa farà”, ma queste decisioni “non aiuteranno l’economia mondiale e creeranno molte difficoltà“, ha aggiunto.

A dire il vero gli stessi cittadini statunitensi non sembrano essere così convinti del piano commerciale. Il 69% pensa che i nuovi dazi non faranno altro che aumentare i costi, e molti stanno pianificando acquisti prima del suo insediamento, prevedendo prezzi più alti. Emerge da un sondaggio condotto da Harris per il Guardian. La maggior parte dei democratici (79%), degli indipendenti (68%) e dei repubblicani (59%) ritiene che le tariffe aumenteranno i prezzi dei beni che pagano negli Stati Uniti.

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