Dopo quattro anni di attesa per il Paese, il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica presenta la Strategia Nazionale dell’Idrogeno del Governo italiano che, però, non permetterà al 2030 di arrivare ai livelli indicati nelle linee guida del 2020. Si punta molto di più sull’orizzonte del 2050 ma, anche in quel caso, ci sono una serie di incognite e di ostacoli da superare. Dai costi di produzione troppo alti, al gap che manca per raggiungere “l’obiettivo connesso di realizzare circa 90 gigawatt di impianti rinnovabili”. E quindi, spiega il governo nel documento di 75 pagine, “aggiuntivi rispetto a quelli necessari per decarbonizzare gli altri consumi elettrici”. La strategia, presentata nella sede del Gse (Gestore servizi energetici), a Roma, è stata sviluppata su tre direttrici (domanda, offerta e trasporto), con “orizzonti temporali di breve, medio e lungo termine e diversi scenari fino al 2050”. Di fatto, sebbene il ministro Gilberto Pichetto Fratin sostenga che “l’idrogeno è una delle soluzioni fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione, che abbiamo chiaramente delineato nel Pniec e devono portarci al Net Zero al 2050”, durante la presentazione ha sottolineato che “l’affermazione del vettore idrogeno dipenderà da molteplici e trasversali tematiche”. La vera sfida, intanto, è quella dell’idrogeno verde, vettore energetico che si produce utilizzando solo energia rinnovabile (quindi senza emissioni) per scindere la molecola dell’acqua nei suoi componenti attraverso l’elettrolisi. Oggi produrne un chilogrammo può costare dai 5 ai 10 euro. Lo sanno bene gli operatori istituzionali e della filiera che, sotto il coordinamento del Gse, hanno partecipato per otto mesi al tavolo di lavoro. “Oggi il governo – ha aggiunto Pichetto – vuole dunque condividere con imprese e industrie una visione su un settore che già può contare su risorse complessive superiori ai 6 miliardi, ma che ha ancora bisogno di sviluppare un mercato solido e va, dunque, accompagnato con nuovi strumenti, insieme a una forte coesione inter-istituzionale”.

Il ruolo della domanda di idrogeno – Come spiegato dal direttore del dipartimento Energia del Mase, Federico Boschi, il gruppo di lavoro è partito dalla domanda, perché “è quella che guida. Il nostro vincolo – ha detto – è decarbonizzare la domanda”. Attualmente, infatti, a partire dal consumo nazionale di idrogeno di poco meno di 1,5 Mtep (tonnellata equivalente di petrolio), circa il 95% viene prodotto e utilizzato principalmente nelle raffinerie e nell’industria petrolchimica. Si tratta, evidentemente, di idrogeno grigio (leggi l’approfondimento). “La prima cosa da fare – ha spiegato Bocci – è vedere la domanda potenziale di idrogeno da qui al 2050 e le possibili evoluzioni anche in relazione agli altri vettori”. La strategia stima di arrivare a una domanda nazionale, al 2050, tra 6 e 12 Mtep “con una corrispondente necessità di elettrolizzatori variabile da alcuni gigawatt fino ad alcune decine di gigawatt a seconda delle condizioni di contesto”.

Da oggi al 2030 obiettivi poco ambiziosi – Fino al 2030, secondo il governo, l’evoluzione della domanda di idrogeno sarà guidata dagli obblighi europei della RED III nei settori dell’industria e dei trasporti. E, tramite il Pnrr, l’Italia dovrebbe finanziare i primi progetti di produzione di idrogeno, che dovranno essere operativi entro il 2026. “In questa fase si svilupperanno ecosistemi di produzione e consumo concentrati nelle Hydrogen Valleys, in grado di creare sinergie tra settori diversi, dalla mobilità all’industria” spiega il governo. Nel Pnrr sono stati stanziati fondi per almeno 40 stazioni di rifornimento da costruire entro il 2026. Ad oggi in Italia ce ne sono due, una a Bolzano e una a Mestre. In questo contesto, la strategia nazionale punta a implementare misure “lavorando su schemi incentivanti per abbattere il costo dell’idrogeno, sul supporto alla catena del valore fino all’utilizzatore finale, sulla normativa e sui percorsi autorizzativi ambientali e per la sicurezza”. Il governo stima che in Italia, al 2030, si potrà far fronte a una domanda di idrogeno rinnovabile di circa 0,25 milioni di tonnellate all’anno, con almeno il 70% prodotto sul territorio nazionale. Allo scopo, scrive il Mase “si ipotizza una capacità elettrica di 3 GW di elettrolizzatori”. Si tratta di 2 gigawatt in meno rispetto alle linee guida del 2020, ma anche molti in meno rispetto agli obiettivi di Francia (6,5 gigawatt), Germania (10 GW) e Spagna (12 GW). Lo stesso Boschi ha ricordato che questi Paesi hanno obiettivi più ambiziosi al 2030 “ma noi dobbiamo trovare un modo per produrre idrogeno in modo economico, perché non abbiamo le stesse risorse degli altri Paesi. L’obiettivo è dare una traiettoria credibile e verificabile” ha detto.

Lo sviluppo su larga scala e le infrastrutture – Dal 2030 al 2040, invece, l’infrastruttura per la produzione e distribuzione dell’idrogeno svolgerà un ruolo centrale per supportare l’espansione dei consumi, in considerazione dello sviluppo dell’offerta, e garantire al contempo un approvvigionamento competitivo. Secondo il governo, la domanda di idrogeno in Italia aumenterà principalmente nei settori del trasporto marittimo ed aereo, dell’industria Hard to abate, dove è più difficile abbattere le emissioni e della mobilità su gomma. Nel testo è chiarito che per decarbonizzare i consumi servirà “la combinazione di diverse fonti, tra cui l’aumento della produzione da rinnovabili, lo sviluppo delle tecnologie di Cattura e stoccaggio del carbonio (Ccs), di biofuel, biometano e, non ultimo, dell’idrogeno, anche eventualmente affiancato dalla ripresa della produzione nucleare”. Obiettivo: soddisfare la domanda a fronte di fonti non programmabili e intermittenti (le rinnovabili, ndr), con la capacità di trasportare grandi quantità di energia su lunghe distanze e a costi competitivi”. Nel medio e lungo periodo, dunque, lo sviluppo di una produzione ‘large scale’, di un’infrastruttura dedicata e di una logistica su gomma di idrogeno gassoso e liquido permetteranno di abbattere i costi di produzione. Viene citato nel documento il progetto Southern Hydrogen Corridor, di cui è parte integrante la dorsale italiana lunga 2.800 chilometri che si estenderà da Mazara del Vallo a Tarvisio. Secondo la strategia, questa sfida “renderà l’Italia un hub europeo dell’idrogeno, favorendo i flussi di importazione”.

Gli scenari al 2050 tra domanda e offerta – Gli scenari identificati per metà secolo portano a una quantificazione dei consumi lordi di idrogeno che possono arrivare a 6,4 Mtep per lo ‘scenario base’ (3,9 dai trasporti e 1,6 dall’industria), 9,08 Mtep per lo ‘scenario intermedio’ (5,2 Mtep per i trasporti e 2,7 per l’industria) e quasi 12 nello ‘scenario alta diffusione’ (rispettivamente 6,7 e 3,7 Mtep). Come andare incontro a questi consumi? Nella strategia nazionale si ipotizzano, in particolare, due scenari limite. Un primo scenario con una produzione nazionale che soddisfa il 70% della domanda e un import di idrogeno al 30%. Ed è in questo scenario che, con una potenza installata di 45-90 gigawatt di rinnovabili, si fa una prima stima del costo per i 15-30 elettrolizzatori necessari, che va dagli 8 ai 16 miliardi di euro per i soli sistemi di elettrolisi. Considerando il contributo di altre tecnologie di produzione di idrogeno, quali quelle che impiegano Steam Methane Reforming (SMR) con la Cattura e lo stoccaggio di carbonio e processi termochimici da biomassa, secondo le stime “si potrebbe giungere complessivamente a 13- 24 miliardi di euro”. Un secondo scenario, invece, con impianti rinnovabili installati per una potenza di 13-26 gigawatt, la strategia per l’idrogeno ipotizza una produzione nazionale del 20%, con l’importazione che sale all’80%. In questo secondo scenario sarebbero sufficienti tra i 4 e i 9 elettrolizzatori con una una spesa tra i 2 e i 5 miliardi di euro. In tal caso, gli investimenti importanti previsti nei sistemi di produzione di idrogeno del primo caso limite faranno spazio ad un maggiore dispiegamento e sviluppo delle infrastrutture, con i relativi investimenti. Il governo calcola circa 16-33 miliardi di euro di investimenti cumulati relativi ad ammodernamento, sostituzione e installazione di nuove tecnologie, componenti e impianti. “La pubblicazione della Strategia nazionale idrogeno – ha commentato Alberto Dossi, Presidente di H2It, Associazione italiana idrogeno – è un traguardo di grande importanza per tutta la filiera. Ma attenzione, questo documento deve rappresentare un punto di partenza, non di arrivo. Ora è fondamentale trasformare le linee guida in azioni concrete”.

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