Dopo la requisitoria del pm avvenuta nella giornata di ieri con la richiesta della condanna all’ergastolo per Filippo Turetta imputato dell’omicidio di Giulia Cecchettin, divenuta l’emblema della lotta contro la violenza sulle donne, oggi è toccato alla difesa dell’omicida, che in aula si è giocata tutte le carte possibili per evitare al proprio assistito la pena massima per quell’orrendo delitto commesso ai danni della sua ex fidanzata.
L’avvocato di Turetta, Giovanni Caruso, ha cercato di dimostrare che nelle azioni dell’imputato che hanno preceduto il delitto non vi sia stata la premeditazione perché nel macabro elenco di “cose da fare” che il giovane omicida ha stilato nei giorni precedenti al delitto avrebbe incluso oggetti atti a legare mani e piedi e a tappare la bocca della povera Giulia, come se la sua intenzione fosse solo quella di rapirla e sequestrarla, non di ucciderla. Questa ricostruzione, sebbene inquadrata nell’ottica di una chiara e legittima strategia difensiva processuale, risulta davvero poco convincente se pensiamo che insieme al nastro adesivo e alle corde per ammutolire ed immobilizzare Giulia, Turetta abbia portato con sé ben due coltelli, uno dei quali si è addirittura rotto durante la prima efferata aggressione contro la ragazza.
A ciò vanno aggiunte tutte le ricerche fatte per programmare l’occultamento del cadavere in una zona dove non fosse facile poterlo rinvenire, la cartina geografica caricata in auto insieme agli altri oggetti per mappare le tappe della fuga successiva all’omicidio e i sacchi della spazzatura che con ogni probabilità dovevano servire per nascondere il corpo.
Anche quando l’avvocato Caruso menziona l’assenza del reato di stalking non possono non tornare in mente i comportamenti che Turetta ha tenuto nei confronti di Giulia dal momento in cui non ha accettato la fine della loro relazione, e il fatto che la ragazza avesse deciso di continuare la sua vita senza di lui. Se è vero che Giulia ha dimostrato di essere una giovane donna coraggiosa e determinata a portare avanti le sue decisioni, a non cambiare le sue abitudini, a laurearsi e a condurre la vita che desiderava, ciò non significa che non abbia subito lo stress e la violenza psicologica del comportamento abusante di Turetta, la sua volontà di controllarla, di ricattarla emotivamente e persino di insultarla e minacciarla con messaggi del tipo: “Come un povero che chiede da mangiare, non lo aiuteresti se gli vuoi bene? Per favore aiutami…” e poi “Mettiti in testa str…. che o ci laureiamo insieme o la vita è finita per entrambi”, “smettila di pensare alla tua inutile carriera”, “la tua vita la vivi a pari passo con me” e ancora “fai pena, maledetta che sei, mi devi tenere traccia della tua giornata”, “ti farò pentire del male che mi stai facendo”, “non ti lascerò un secondo in pace”.
Turetta era ossessionato da Giulia e quello che il suo legale definisce un “amore tossico” non ha nulla a che vedere con l’amore, ma con il senso del possesso narcisistico di un individuo che non prova empatia e sentimenti nei confronti di quella che a tutti gli effetti è stata una vittima delle sue condotte abusanti durante e dopo la loro relazione. Definire Turetta come un ragazzo timido e insicuro che si è lasciato sopraffare dall’emotività e ha ucciso Giulia in preda ad un impeto mentre aveva solo intenzione di rapirla è il tentativo della difesa di provare che ci sia stata preordinazione ma non premeditazione. Ma quello che mi pare essere a tutti gli effetti un disturbo narcisistico della personalità non può tradursi in alcuna scusante o attenuante per il comportamento lucido e determinato di Turetta, che ha ucciso con 75 coltellate la sua ex fidanzata in due momenti distinti e in un arco temporale di venti minuti tra la prima e la seconda aggressione.
“Se c’è qualcuno che non sa premeditare alcunché è Filippo Turetta” sostiene la sua difesa, argomentando che l’omicida è un soggetto insicuro in tutti gli ambiti della sua vita, dagli esami universitari allo sport, alla relazione con Giulia. L’esatto contrario di quello che afferma il pm, descrivendo la condotta dell’imputato come uno dei massimi esempi di premeditazione e chiedendo la pena dell’ergastolo. La sentenza è attesa per il 3 dicembre.