È un “colpo al cuore” degli Elkann, cercando la verità sull’eredità Agnelli. Un colpo che potrebbe anche far tremare il pieno controllo da parte di John, il nipote dell’Avvocato, sulla società semplice “Dicembre” e, attraverso di essa, dell’accomandita degli eredi della dinastia, la olandese “Giovanni Agnelli BV”, e dunque dell’impero “Exor” (società anch’essa di diritto olandese): Stellantis, la Ferrari, la Juventus, la partecipazione in Philips, i giornali del gruppo Gedi, La Stampa e La Repubblica. Martedì, infatti, gli uomini del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza hanno perquisito e compiuto sequestri di documenti cartacei e digitali, dopo l’autorizzazione con decreto del gip Antonio Borretta, nello studio dell’avvocato Franzo Grande Stevens, storico legale e amico-consulente di Gianni Agnelli: nella sua sede di Torino e in quella di Roma. La procura subalpina, che sta già indagando i tre fratelli Elkann, John, Lapo e Ginevra, il commercialista Gianluca Ferrero e il notaio svizzero Urs von Grunigen per evasione fiscale e successoria e truffa ai danni dello Stato, ha poi esteso le indagini a uno dei più noti notai torinesi, Remo Maria Morone, che ha gestito la pubblicazione del testamento di Gianni Agnelli e poi curato la regolarizzazione alla Camera di Commercio della società semplice “Dicembre”. Il reato contestato, in concorso con Ferrero, è “falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici”.
L’ipotesi: fasulla la cessione delle quote – Il procuratore aggiunto Marco Gianoglio e i sostituti Mario Bendoni e Giulia Marchetti stanno cercando le prove che potrebbero dimostrare la nullità delle compravendite delle quote del 41,29% per cento di “Dicembre”. Atti che, prodotti dagli Elkann sino a oggi solo e sempre attraverso diverse versioni di fotocopie, attesterebbero che il 19 maggio 2004, poco dopo aver raggiunto in Svizzera il patto successorio con la figlia Margherita, la vedova dell’Avvocato, Marella Caracciolo, avrebbe ceduto in “nuda proprietà” ai tre nipoti, conservandone l’usufrutto, l’intero pacchetto di quelle azioni. A John l’1,29%, facendolo salire al 60% delle quote totali, e ripartendo poi il restante in parti uguali del 20% a testa tra Lapo e Ginevra: in cambio, così è dichiarato nelle fotocopie, di 80,9 milioni di euro. Una cifra ingente e “singolare”, tenuto contro che i tre fratelli Elkann, all’epoca, avevano solo 28, 27 e 25 anni. Solo dopo 17 anni però, e solo dopo una richiesta formale della madre, John, Lapo e Ginevra hanno provveduto a registrare, il 21 luglio 2021, il nuovo assetto societario al Registro delle imprese della Camera di Commercio di Torino, depositando 13 atti in fotocopia senza l’attestazione della loro “conformità agli originali” e con una “declaratoria” redatta da Morone che, dall’altro ieri, proprio per quel documento è il nuovo indagato dell’indagine torinese sull’eredità.
Quelle strane bozze del contratto – Ma perché la Guardia di Finanza ha perquisito lo studio di Franzo Grande Stevens (oggi ha 96 anni e ha lasciato da tempo la guida alla figlia Cristina) e anche quello dell’avvocato Michele Briamonte che lavora negli stessi uffici? Perché sino al 2015, presso di esso, avevano sede tre fiduciarie utilizzate dall’Avvocato Agnelli e poi dai suoi eredi per gestire i propri patrimoni. La Simon Fiduciaria, la Sogefi e la Gabriel Fiduciaria. La prima, soprattutto, aveva a lungo gestito le attività della “Dicembre”. A portare i finanzieri nel prestigioso studio di quello che un tempo era chiamato “l’avvocato dell’Avvocato” (alla perquisizione, come previsto dal Codice di procedura penale, hanno assistito i tre pm e due rappresentanti dell’Ordine degli Avvocati), sono stati i documenti scoperti nei primi sequestri (anche nello studio Morone) del febbraio scorso, in seguito all’esposto presentato da Margherita Agnelli in parallelo alla causa civile aperta contro i tre figli. In particolare una cartella digitale in file Excel, denominata “Dicembre S.S.”, inviata a Morone il 19 settembre 2021 via e-mail da un collaboratore del notaio, che contiene 19 cartelline, tra le quali la numero 14 conserva ben quattro diverse versioni delle cessioni delle quote da parte di Marella Caracciolo a favore dei nipoti. Ora bozze non firmate, ma con l’indicazione di luogo e data (“Torino, 19 maggio 2019”), ora senza intestazione poi aggiunta nella versione successiva, ma con la scomparsa di data e luogo, e infine con due diverse autentiche o certificazioni di notai svizzeri. Sempre nelle e-mail ritrovate nei computer di Morone è emersa un’annotazione del commercialista Ferrero che assicurava di aver sollecitato “GS” (probabilmente Grande Stevens) “per il recupero degli originali presso lo studio GS”.
Il documento senza data – Due circostanze ancora più gravi, secondo le annotazioni della Guardia di Finanza (guidata dal colonnello Alessandro Langella) sarebbero però emerse dall’analisi della cartellina 15. In esse si trovano due versioni, con firme però diverse per tratto ed estensione, del documento che indicava Marella come “socia d’opera” della “Dicembre” dopo l’apparente cessione delle quote. Una però è senza data e Morone chiede a Ferrero se sia verosimile che l’atto sia stato sottoscritto “lo stesso 19 maggio 2004”. Quella poi depositata alla Camera di Commercio riporta infine una data aggiunta a mano ed è definita nel decreto di sequestro “alterata e falsificata”. Poter produrre quel documento con la data del 19 maggio, secondo gli inquirenti, sarebbe stato però necessario per avvalorare la credibilità delle cessioni delle quote in quello stesso giorno: ecco perché Morone non avrebbe consegnato alla Camera di Commercio l’unico originale con data certa (si trova nella cartellina 16), che è però successiva. Datata 7 ottobre 2004, “troppo tardi”, secondo pm e Fiamme Gialle, gli inquirenti “per gli interessi illeciti degli indagati”. Analoghe interpolazioni emergerebbero dal documento che indica la cessazione della qualifica di “socio d’opera” di Marella (conservato nella cartellina 18): anche qui c’è un originale senza data e poi una “fotocopia da copia” consegnato al registro delle Imprese e con la data apposta con un timbro: 15 settembre 2015.
I dubbi sul pagamento – Le ultime annotazioni contenute nel decreto del gip e riferite “agli inquirenti (pm e Guardia di Finanza, ndr)” aprono il fronte più delicato per il mantenimento di quel 41,29% di “Dicembre” in testa ai fratelli Elkann. Sino ad oggi, nei vari procedimenti civili che contrappongono i figli alla madre Margherita, risultavano infatti “tre identiche e separate richieste” – sempre datate 19 maggio 2004 – con le quali John, Lapo e Ginevra richiedevano alla Gabriel Fiduciaria (allora gestita da Grande Stevens) di trasferire “a favore di altra posizione fiduciaria presso di voi che ve ne farà richiesta (Marella Caracciolo, ndr)” i complessivi 80,9 milioni di euro con causale “Pagamento acquisto quote”. Dalla perquisizione effettuata però nel febbraio scorso nella P Fiduciaria, subentrata alla Gabriel e con sede a Torino nella filiale della banca svizzera Pictet, è emerso che i fratelli Elkann avevano chiuso proprio quei mandati fiduciari il 17 maggio 2004, cioè due giorni prima dei presunti ordini di pagamento. Sempre in tale data, come risulta dai documenti dell’altra fiduciaria dello studio Grande Stevens, la “Simon”, risultano movimenti di cento milioni di euro, attraverso la sede di Ginevra della Banca Pictet, a favore di John Elkann con cinque diversi mandati di venti milioni ciascuno. Infine, da accertamenti presso l’anagrafe tributaria, è emerso che Lapo e Ginevra non avevano in quell’epoca “redditi sufficienti” per saldare con la nonna, ciascuno per la sua parte, l’acquisto delle quote versando 39,2 milioni di euro a testa.
I rischi per l’impero Elkann – Una situazione complessiva che, scrive il gip, farebbero sussistere, per i pm e la Guardia di Finanza, “indizi concreti in ordine all’assenza di un effettivo pagamento del prezzo da parte dei fratelli Elkann a favore della nonna”, per “l’assenza dell’originale delle scritture di cessione”, per la “pluralità di versioni sequestrate” e per la “complessiva fraudolenza della declaratoria” del giugno 2021 al Registro delle imprese della Camera di Commercio di Torino. Qualcosa che se fosse provato, anche dai documenti sequestrati l’altro ieri, porterebbe a definire “fittizia e artatamente costruita” la compravendita del 19 maggio 2004. A quel punto, le quote di “Dicembre” rientrerebbero nell’eredità di Marella Agnelli e andrebbero sottoposte alla tassa di successione: calcolata per un ammontare dello 0,4 per cento su una valore presunto di almeno 1,6 miliardi di euro. Il che porterebbe di fatto al raddoppio dell’evasione fiscale e successoria già contestata dalla Procura torinese agli Elkann per 74,8 milioni di euro. In un secondo tempo, poi, se Margherita vincesse la causa civile, su cui peseranno gli accertamenti dei magistrati penali che definiscono “fittizia” la residenza svizzera della vedova dell’Avvocato, su cui si basano l’accordo successorio di Marella con la figlia e il testamento a favore dei nipoti Elkann redatti secondo il diritto civile elvetico, rientrerebbe nella “Dicembre”, estromettendo i figli Lapo e Ginevra e “isolando” John che conserverebbe comunque il 58%.