“Non risolviamo il problema del conflitto in Medio Oriente con mandati di arresto. Non esiste una via giudiziaria alla pace“. Rispondendo al question time alla Camera, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ribadisce il suo scetticismo sul mandato d’arresto emesso dalla Corte penale internazionale a carico del premier israeliano Benjamin Netanyahu e dell’ex ministro della […]
“Non risolviamo il problema del conflitto in Medio Oriente con mandati di arresto. Non esiste una via giudiziaria alla pace“. Rispondendo al question time alla Camera, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ribadisce il suo scetticismo sul mandato d’arresto emesso dalla Corte penale internazionale a carico del premier israeliano Benjamin Netanyahu e dell’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, accusati di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. E ancora non chiarisce se l’Italia darà attuazione all’ordine dei giudici dell’Aja, come sarebbe obbligata a fare in quanto Paese membro del trattato che ha istituito la Corte: “Riteniamo indispensabile esaminare nel dettaglio le motivazioni di tale decisione, stiamo effettuando in raccordo con altri Paesi dell’Ue approfondimenti giuridici anche in relazione alla prevalenza del diritto internazionale generale sulle immunità” garantite ai capi degli Stati che, come Israele, non aderiscono al tribunale sovranazionale. Una scappatoia, quella delle immunità, già spesa dal governo francese per annunciare, di fatto, che non eseguirà il mandato di cattura.
Tra le righe, poi, Tajani accusa le toghe di aver messo a rischio il percorso di pace: “Il governo rispetta la Corte e la sostiene, ma è convinto che debba svolgere un ruolo giuridico e non politico. Le decisioni giudiziarie non possono diventare strumenti che complicano la ricerca di una soluzione pacifica ai conflitti. La strada della diplomazia è l’unica via per una stabilità duratura nella regione: è con la diplomazia, e non con i mandati di cattura, che abbiamo raggiunto il cessate il fuoco in Libano, che consideriamo un punto di partenza. Ed è sempre con il dialogo che saremo in grado di raggiungere il cessate il fuoco anche a Gaza”.
Critiche alla posizione di Tajani dai partiti di opposizione che lo hanno interrogato sul tema in Aula: “Dubitare della terzietà della Cpi vuol dire minare principi condivisi nonché un organismo di cui 124 Paesi si sono dotati per perseguire individui (e non gli Stati) autori di gravi crimini. Occorre una posizione chiara e univoca del governo rispetto alle decisioni della Corte e alla strage di civili a Gaza che per il diritto internazionale è crimine di guerra, senza l’ambiguità di attribuire alla stessa una natura politica”, dice Luana Zanella, capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra. Riccardo Ricciardi del Movimento 5 stelle invece ironizza: “Ci state dicendo che ci sono le “toghe politicizzate” anche all’Aja? Prima c’erano le “toghe rosse“, ora sono diventate le “toghe islamiche e antisemite“. La decisione politica non è quella della Cpi, è la vostra, nel momento in cui, di fronte a un pronunciamento del genere, pensate di garantire l’immunità a una persona che sta sterminando un popolo intero. Il diritto internazionale serve a tutelarci dai potenti, da coloro che possono smuovere eserciti e commettere crimini contro l’umanità. Fare questi giochi di parole significa dire che un potente può fare quello che vuole e avrà sempre la copertura dei suoi amici”.
Dura anche Lia Quartapelle del Pd: “Aveva detto che avreste trovato una posizione comune come G7. La posizione ovviamente non c’è stata, e a quel punto lei ha mormorato che tanto Netanyahu non avrebbe viaggiato”, ha detto rivolgendosi al ministro. “Nel frattempo”, ha ricordato, l’altro vicepremier Matteo Salvini ha invitato il primo ministro israeliano in Italia, dicendo che “è il benvenuto” e “i criminali sono altri” (video). “Servirebbe una posizione del governo, non delle indicazioni turistiche”, chiosa Quartapelle. Un altro dem, Peppe Provenzano, accusa invece Tajani: “Lei dice che rispetta la Cpi, ma nelle sue parole e omissioni io vedo una sottile delegittimazione. Un Paese come l’Italia non se lo può permettere, perché è una conquista del diritto internazionale che abbiamo voluto noi. Rispettare il mandato non è una facoltà, è un obbligo. La Corte non si occupa di politica, si occupa di responsabilità penali”.