Una bimba di un anno è stata ricoverata con una grave tossinfezione da Escherichia coli complicata da sindrome emolitica-uremica. La scorsa settimana, dall’ospedale di San Candido la bimba era passata al reparto di nefrologia infantile a Padova, dove fortunatamente le sue condizioni sono migliorate: la piccola ha fortunatamente superato la crisi ed è rientrata a casa. Ma per poco non ci ha rimesso la vita solo per aver mangiato un latticino crudo, in questo caso un “formaggio saporito di montagna” di un caseificio trentino della Val di Fiemme. Il prodotto è stato prontamente ritirato dalla vendita dopo che le analisi del Laboratorio dell’Istituto Zooprofilattico sperimentale delle Venezie hanno confermato la presenza di alcuni ceppi di E. coli particolarmente virulenti (STEC, ShigaToxin-producing Escherichia Coli), di cui i bovini rappresentano il principale serbatoio naturale. Questi ceppi colpiscono prima di tutto l’intestino, anche con grave diarrea emorragica, ma in soggetti fragili come i bambini possono causare danni renali, intestinali e cerebrali, oltre ad aumentare il rischio di SEU (sindrome emolitica-uremica), che porta a insufficienza renale acuta e anemia, ed è fatale nel 20% dei casi.
Morire di latte
Chi potrebbe immaginare che nel XXI secolo, in nazioni come quelle europee, dall’elevato standard alimentare di sicurezza, dei soggetti fragili possano ancora rischiare la morte o il coma per aver consumato latticini crudi? “Eppure non è un caso isolato, negli ultimi anni vari bambini sono rimasti uccisi o in stato vegetativo. Si può e si deve evitare”, afferma l’avvocato Dario Dongo, esperto di diritto alimentare internazionale. È recente il caso di Elia, morto a soli 3 anni, ma ne vanno ricordati altri. “Nel 2017 è toccato al mio Mattia”, racconta il padre Giovanni Battista Maestri. “Nel 2018 a un altro bambino e di nuovo nel 2023 a una bambina, sempre in Trentino. Non sapevo dei rischi del latte crudo, come non lo sanno molti genitori. A loro, raccomando di non dare assolutamente ai bambini latticini crudi di breve e media stagionatura”.
Crudo è pericoloso
Tutto ruota intorno al latte crudo, cioè che non viene sottoposto ad alcun trattamento termico con temperature superiori a 40° come la bollitura o la pastorizzazione. “Il latte crudo può venire contaminato in fase di mungitura – per contatto con le feci dell’animale, spesso presenti sulla cute della mammella – o comunque in stalla, per l’impiego di attrezzature o recipienti non sanificati. Gli STEC possono peraltro venire inattivati con un appropriato trattamento termico, la pastorizzazione a +72° C per almeno 15 secondi o a + 63°C per almeno 30 minuti”, chiarisce Dongo. Gli STET sono certamente i microorganismi più pericolosi, ma non sono gli unici potenzialmente presenti nel latte crudo, e capaci di causare gravi infezioni alimentari. L’elenco è davvero lungo: Listeria monocytogenes, Campylobacter termofili, Salmonella spp…
“Questi batteri sono particolarmente dannosi per i bambini, che hanno un sistema immunitario ancora in fase di sviluppo. Infezioni come la sindrome emolitico-uremica (SEU), causate dai batteri del latte crudo, possono avere conseguenze devastanti: insufficienza renale, coma, e, nei casi più gravi, la morte. La SEU è rara, ma quando colpisce, come nei casi di Elia e Mattia, l’impatto è devastante”, spiega il dott. Alberto Ferrando, docente all’università di Genova e presidente associazione pediatri liguri. “Ben venga il ritorno alla natura, ma occorre consapevolezza. I nostri vecchi il latte lo bollivano”, aggiunge il pediatra, che poi raccomanda: “È necessario fare una campagna di informazione per tutti i genitori perché non diano prodotti a base di latte crudo sotto i dieci anni. Inoltre l’etichetta sui formaggi da latte crudo deve essere ben chiara, per tutelare il consumatore”.
Etichette chiare
“Da anni mi batto perché sia garantita l’informazione sul latte crudo, il cui rischio è concreto e intrinseco”, spiega l’avv. Dongo. “La normativa UE 853/2004 prescrive l’indicazione obbligatoria della presenza di latte crudo su prodotti lattiero-caseari freschi e semi-stagionati”. Le scritte in etichetta ci sono, ma a volte sono troppo piccole e sfuggono, oppure proprio non se ne capisce l’importanza. “Il consumatore medio non necessariamente è acculturato sui rischi del latte crudo, va messo al corrente perché c’è in gioco la vita. Bisogna fornire le informazioni necessarie”, spiega l’avvocato. “Il 10 dicembre verrà presentato un progetto di legge perché venga indicato in etichetta il divieto di somministrare latticini crudi a bambini sotto i 10 anni”, informa il padre di Mattia.
Ma già fin da ora sarebbero importanti informazioni supplementari, anche su base volontaria come in Francia, con tanto di rappresentazioni grafiche (per es. l’immagine di un bambino o di una donna incinta barrate). Andrebbero certamente indicate le categorie vulnerabili, nella fattispecie bambini, soprattutto se molto piccoli, anziani, donne incinte, immunocompressi. “Questi ultimi non sono soltanto i malati di AIDS: possono essere anche persone in cura con chemioterapici o cortisonici”, avverte l’avvocato. Ma le etichette dei prodotti, per quanto ben fatte, possono non bastare: ci sono altre occasioni in cui le avvertenze sono indispensabili. “Non costerebbe nulla mettere degli avvisi o sui menù dei ristoranti o nei locali di produzione”. Anche i piccoli produttori, come malgari e agriturismi, devono fornire le informazioni necessarie. Ma che queste ci siano o meno, nessun prodotto può essere consumato dai bambini o altri soggetti a rischio. E la cautela è indispensabile pure per gli adulti sani, anche se per loro è meno problematico. Perché rischiare, quando basta usare latticini pastorizzati? Ma se proprio si vogliono quelli di latte crudo, basta dare la preferenza a formaggi stagionati come grana e parmigiano.