Troppo malato per il carcere, ma anche tanto tempo per trovare una soluzione. Renato Vallanzasca, per il quale il Tribunale di Sorveglianza di Milano ha disposto il 13 settembre scorso il “differimento pena” in detenzione domiciliare per “incompatibilità col carcere” per le sue gravi condizioni di salute, è stato effettivamente trasferito nei giorni scorsi nella […]
Troppo malato per il carcere, ma anche tanto tempo per trovare una soluzione. Renato Vallanzasca, per il quale il Tribunale di Sorveglianza di Milano ha disposto il 13 settembre scorso il “differimento pena” in detenzione domiciliare per “incompatibilità col carcere” per le sue gravi condizioni di salute, è stato effettivamente trasferito nei giorni scorsi nella Rsa dell’Opera della Provvidenza Sant’Antonio, in provincia di Padova.
Struttura, che si occupa di malati di Alzheimer e demenza, individuata nei mesi scorsi dai legali del 74enne, gli avvocati Corrado Limentani e Paolo Muzzi, e che ha dato la propria disponibilità ad accoglierlo. Sono passati più di due mesi, nei quali il 74enne ex boss della banda della Comasina con “fine pena mai” è rimasto nel carcere di Bollate, prima dell’effettivo trasferimento, perché i legali hanno dovuto occuparsi anche di tutta una serie di formalità e certificazioni. Da quanto si è saputo, Vallanzasca fatica a camminare, ma è seguito dai medici dell’istituto e fa fisioterapia.
Dopo più di 50 anni di detenzione in carcere, quindi Vallanzasca ha lasciato il carcere. I gravi problemi di salute dell’ex boss della banda della Comasina – anche per i giudici – erano diventati incompatibili con il regime carcerario. Era stata anche la procura generale a sollecitare il trasferimento, ed il conseguente regime detentivo alternativo per Vallanzasca, condannato a 4 ergastoli. Il sostituto pg di Milano, Giuseppe De Benedetto, nell’udienza del 10 settembre aveva spiegato che “è accertata la diagnosi di demenza, c’è incompatibilità conclamata con la detenzione in carcere ed è venuto il momento di modificare la condizione detentiva, da eseguire nella struttura che ha dato disponibilità”.
All’udienza di settembre aveva partecipato anche il 74enne ex protagonista della mala milanese degli anni ’70 e ’80. La giudice Carmen D’Elia avevano ripercorso tutte le relazioni, anche del servizio di medicina penitenziaria, che aveva dato conto in questi mesi delle condizioni di Vallanzasca, non più autosufficiente. Condizioni che producono “paranoia, deliri notturni“, “afasia” e che l’hanno portato a cadere dal letto e ad essere ricoverato più volte. “Le sue condizioni non gli fanno nemmeno capire il senso della pena”, avevano messo nero su bianco i difensori.
Un neurologo del servizio di medicina penitenziaria a fine luglio aveva segnalato che le “condizioni sono difficilmente compatibili col regime carcerario”, che il 74enne “ha perso completamento il controllo” e che deve essere trasferito in una struttura “per malati di Alzheimer“. Anche i medici del carcere di Bollate avevano evidenziato che è “disorientato nel tempo e parzialmente nello spazio“, con “comportamenti inadeguati” e “scarsamente collaborativo”.