HO VISTO UN RE di Giorgia Farina. (Italia, 2024). Fuori Concorso
Attirati dall’eco jannacciano, ma soprattutto da una sinossi che stuzzicava storico interesse, quando siamo usciti da Ho visto un re ci sono cadute le braccia. Non sappiamo come altro sintetizzare lo sconcerto per il solito film italiano scontato, prevedibile, anemico. L’arrivo di un ras etiope fatto prigioniero nella Campagna d’Africa, spinge il podestà di un paesino laziale (Edoardo Pesce) a mettersi in mostra agli occhi dei superiori fascisti: toglie il pavone dalla voliera del suo casale di campagna e ci mette dentro il prigioniero facendolo controllare a vista dai carabinieri. Ma il piccolo Emilio figlio del podestà, tutto preso ad immaginare la vita come un fumetto d’avventura, vede nel ras la reincarnazione di Sandokan e sarà il primo ad aiutarlo in un soggiorno (all’aperto) migliore portandogli cosce di pollo durante la notte. Al di là dell’interrogativo se ancora nel 2024 abbiamo bisogno della banalizzazione dicotomica e politica dei caratteri (l’etiope è saggio, buono, generoso, coraggioso ecc…; i fasci sono stupidi, aggressivi, cattivelli, pavidi) per illustrare il Ventennio, Ho visto un re bascula tra una linea visivo-espressiva talmente anonima da risultare inesistente (che dobbiamo prendere per buone le “animazioni” del bimbo?), l’ispessimento forzato della scrittura oltre stereotipi e luoghi comuni da sceneggiato Rai Premium (davvero è stato pensato e “scritto” il personaggio – per dirne uno dei tanti – della mattarella pittrice svagata interpretato dalla Serraiocco?), una messa in scena bolsa, superficiale e perfino distratta (c’è pure l’errore di continuità con i tramezzini che scompaiono e riappaiono nella stessa sequenza). Per non parlare del costrutto da film a tesi che pare un mattone lanciato contro la fronte dello spettatore. In una parola: disastroso.