In meno di due mesi si sono mosse da Tapachula, città di confine tra Messico e Guatemala, almeno sei carovane migranti. L’ultima, di almeno 1500 persone provenienti da Guatemala, Honduras, El Salvador, Colombia, Venezuela, Haiti, Perù, e Ecuador è partita mercoledì 20 novembre. Alla partenza in molte e molti hanno dichiarato, alla stampa locale e […]
In meno di due mesi si sono mosse da Tapachula, città di confine tra Messico e Guatemala, almeno sei carovane migranti. L’ultima, di almeno 1500 persone provenienti da Guatemala, Honduras, El Salvador, Colombia, Venezuela, Haiti, Perù, e Ecuador è partita mercoledì 20 novembre. Alla partenza in molte e molti hanno dichiarato, alla stampa locale e chi opera nei diritti umani, di voler raggiungere il confine con gli Stati Uniti prima che Donald Trump entri in carica a gennaio. Dall’elezione di Trump ad oggi è già la terza partenza collettiva che si è organizzata in Chiapas. Le carovane migranti sono una costante degli ultimi sei anni, ma le uniche che hanno raggiunto il confine con gli Stati Uniti sono state le prime, partite dall’Honduras, tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019. Nell’ottobre 2020, alla vigilia delle elezioni in cui Trump cercava la rielezione contro Joe Biden, si formò una carovana di più di tremila persone. Fu bloccata e dispersa dalle forze di polizia del Guatemala.
Nonostante questi gruppi vengano sempre più velocemente dispersi, tanto che è raro che riescano ad uscire dal Chiapas, restano una forma di pressione politica e di visibilità delle politiche repressive che Messico e Guatemala mettono in atto per rispondere alle richieste degli Usa. Fernando Castro Molina, analista delle migrazioni, spiega che “chi si è recentemente organizzato per la partenza esprime paura per il cambiamento che avverrà presto nel governo degli Stati Uniti, anche a causa delle nomine – fatte da Trump – di Tom Homan e Stephen Miller“.
Homan, ex direttore dell’Immigration and Customs Enforcement (ICE) sarà il “border czar” e quindi responsabile dei confini meridionali e settentrionali. Il suo obiettivo è di espellere il 90% di chi è è senza documenti. Il tutto è supportato dallo stesso Trump che ha dichiarato: “Ci sarà un’operazione di deportazione massiccia, perché abbiamo avuto un’immigrazione illegale mai vista prima”. Miller, ricorda sempre Castro Molina, “ha fondato America First Legal, un’organizzazione che si è unita alla causa intentata da 16 Stati repubblicani contro il programma “Keeping Families Together”. Programma poi bloccato dal giudice Campbell Barker, nominato da Trump alla Corte del distretto orientale del Texas”.
Angel Adrian Huerta Garcia, responsabile della comunicazione per le Missioni Scalabriniane per i migranti e i rifugiati non è convinto che l’accelerazione delle partenze sia dovuta alla vittoria di Trump, ma certamente “la disinformazione è stata un fattore chiave. Molti credono che, una volta arrivati al confine settentrionale, avranno maggiori possibilità di accedere a un appuntamento per attraversare il confine attraverso la piattaforma CBP One, che snellisce la burocrazia per l’ingresso negli States. Per molti – prosegue – che operano nella difesa dei diritti umani, CBP One è stata “muro informatico”, che ha costretto tanti ad aspettare un appuntamento in città lontane dal confine. Il possibile inasprimento delle politiche di immigrazione degli Stati Uniti con l’arrivo al potere di Donald Trump aumenta la paura”.
Castro Molina e Huerta Garcia convergono nel ritenere che il governo di Biden non abbia aperto le frontiere come sostenuto da Trump, ma degli spazi. “Ha offerto un’alternativa: la possibilità che un giudice valutasse se le persone potessero accedere allo status di rifugiato. Solo una piccola percentuale è però stata ritenuta idonea”, osserva Huerta Garcia. “Biden ha effettivamente dato alcune opportunità come i permessi umanitari o lo status temporaneo di protezione. Ha consentito anche a più di 500mila persone con passaporto venezuelano, nicaraguense, e cubano di entrare nel paese. Benefici che con Trump finiranno”. L’apertura ad orologeria delle frontiere a cittadine e cittadini solamente di Venezuela, Nicaragua e Cuba rispondeva ad una strategia di conflitto con i governi di questi paesi. Però allo stesso tempo Messico e Guatemala, su pressione statunitense, hanno dato un giro di vite ai migranti. “Organizzazioni della società civile hanno denunciato la politica di contenimento attuata da entrambi i paesi”, ricorda Huerta Garcia. Politiche “che hanno portato a gravi violazioni dei diritti umani dei migranti. In Messico militarizzazione e Istituto nazionale per le migrazioni (INM) hanno reso il transito ancora più difficile. La criminalità organizzata controlla il traffico di esseri umani, commettendo crimini efferati come rapimenti ed estorsioni. Inoltre, le autorità migratorie ingannano i migranti, deportandoli o trasferendoli negli stati del sud del paese”.
Castro Molina ricorda che “ il Messico è stato costretto da Biden a bloccare i flussi migratori. Nei sei anni di mandato di López Obrador, sono stati arrestati 6 milioni e 400 mila migranti, ed è questo che ha ridotto i fermi al confine meridionale degli Stati Uniti. Dal 2020 al 2023 sono stati bloccati più di 8,2 milioni di migranti”. Secondo l’analista Trump cercherà di “accordarsi” con Salvador, Guatemala e Honduras e trasformarli in “paesi terzi sicuri” così da contenere i flussi migratori prima che arrivino in Messico e consentirgli di chiudere le procedure di asilo e rimpatriare i richiedenti asilo in questi paesi. Allo stesso tempo l’insicurezza sociale, economica, il cambiamento climatico e la crescita della violenza nei paesi a sud del Rio Bravo continua ad obbligare milioni di persone ad abbandonare il proprio paese iniziando spostamenti pericolosissimi e osteggiati dalle politiche anti-migranti promosse dagli Stati Uniti. Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), tra il 2014 e il 2022, più di 5mila migranti sono morti o sono spariti nel nulla nella sub-regione che comprende Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Messico, Nicaragua e Panama.