Per capire la crisi attorno al Torino, bisogna fare un piccolo percorso lungo 25 giorni. Certo, una data riduttiva rispetto alle frizioni che tra Urbano Cairo e l’ambiente esistono da diversi anni Ma ci si limita all’ultimissimo periodo storico: quello che va dal postpartita di Torino-Fiorentina a ieri, 27 novembre. Il protagonista è sempre uno: il presidente. “Non vendo il club”, aveva detto dopo la (bruttissima) sconfitta contro i viola. “Se arriva qualcuno più bravo di me, sono disposto a valutare una cessione: i ventenni finiscono…”, ieri. Tradotto: Non resto a dispetto dei Santi. Ed è già una micro svolta, anche se all’orizzonte per ora non si vede nulla di concreto. “Al momento non c’è stato nessun incontro”, ha chiarito oggi lo stesso Cairo.

Perché l’ipotesi di una cessione reale, per bocca dello stesso proprietario granata, non veniva ventilata addirittura dal 2010, una vita fa. Il Torino era di nuovo retrocesso in Serie B, stava vivendo una brutta crisi di risultati che aveva portato a una contestazione feroce nei confronti della proprietà. E Cairo si era esposto, senza però trovare un acquirente valido. Negli anni, poi, qualche potenziale compratore (ma più di facciata che reale) si è palesato: boutade più mediatiche che altro, senza mai delle reali trattative sul tavolo. E si è arrivati ad oggi. Nel 2010 la contestazione era stata molto più veemente rispetto a quanto sta accadendo in queste ultime settimane, anche se la tifoseria sta lanciando diversi segnali: la curva deserta per tutto il primo tempo contro il Monza, per restare fuori dallo stadio e intonare cori contro Cairo, è un simbolo eloquente di una frattura che al momento sembra poco sanabile.

Ma una cosa è il sentimento tra le due parti (e su quello, la situazione è chiara), un’altra sono i conti in banca. E lì non si scherza. “Vendo se trovo uno più bravo e ricco di me”, ha specificato Cairo, che nel Torino ha investito (e ricevuto anche) parecchio, ma che ora vive una situazione dei conti non particolarmente florida. Dal post Covid in avanti, gli utili del club si sono a poco a poco assottigliati, tanto che nello scorso esercizio è stato riscontrato un passivo di 11 milioni di euro, ripianati con un investimento personale del presidente.

Una società insomma solida ma non più campionessa di bilancio come era accaduto per diversi anni, dove il patrimonio netto messo a riserva ammontava a decine di milioni di euro: soldi utili, freschi, per ripianare eventuali perdite o per investire sui giocatori. E proprio gli investimenti di recente hanno fruttato meno dello sperato: negli ultimi anni si contano i 15 milioni per l’acquisto di Niang, altrettanti per quelli di Zaza, o addirittura i 25 per Verdi. Giusto per indicare le spese più eclatanti. Tutto patrimonio che non ha avuto rivalutazioni, ma anzi che è andato a perdersi. Le ultime plusvalenze sono state la cessione di Buongiorno (prodotto del settore giovanile) e Bellanova, per il quale comunque era stata investita una cifra considerevole di circa 10 milioni di euro.

Il tutto con uno stadio non di proprietà e non sempre pieno e con i risultati di squadra che portano a una metà classifica senza infamia e senza lode. C’è chi parla di “apatia granata”, c’è chi sostiene un progressivo disimpegno da parte di Cairo. E poi ci sono le voci, che sono incontrollate. Di recente, quella più rumorosa è stata su Red Bull. Nome che per associazione di immagini si sposa perfettamente con il Torino e che proprio nel lontano 2010 era stato indicato come il vero potenziale acquirente della società, senza che avvenisse nulla.

Da questa estate, il marchio che nel calcio ha investito eccome (in Bundesliga ma non solo) è partner del club per la fornitura di bevande. Partner, appunto: non potenziale acquirente. La collaborazione nel corso dei mesi è anche cresciuta (con l’acquisto di altri spazi sponsorizzati) e potrebbe continuare a crescere ancora: ci sono delle trattative con l’area marketing che fanno pensare a un ulteriore ampliamento dell’accordo commerciale. Che non prevede però alcuna compravendita. Quella, al momento, sembra più nei sogni dei tifosi. Che vogliono sempre meno Cairo alla guida del Torino. Ed è l’unica, reale, certezza in un momento molto delicato della storia recente granata.

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