Il decreto “flussi” che riforma l’ingresso dei lavoratori stranieri passa all’esame del Senato dopo aver ottenuto la fiducia alla Camera. Ma non quella degli addetti ai lavori. Alla prova dei fatti, le nuove disposizioni stanno complicando la vita ai datori che vorrebbero assumere dipendenti stranieri, stagionali e non. Da un lato le buone intenzioni: aumentare i controlli per evitare domande che, come accaduto in questi anni, non si trasformano in un contratto e finiscono per alimentare irregolarità, sommerso e caporalato. Dall’altro, i conti con la realtà. A doverli fare sono già molte aziende nei settori dell’edilizia, agricoltura e turismo, ma anche semplici anziani interessati ad assumere qualcuno che li assista. Molte domande non riusciranno ad essere registrare sul portale ALI del ministero dell’Interno entro il 30 novembre, giorno in cui si chiuderà la finestra di un mese prevista dal governo. “Abbiamo scritto al Viminale, ma la risposta è stata negativa”, raccontano le avvocate Maria Sipione e Marta Castagnetta del foro siciliano di Ragusa, impegnate in una corsa contro il tempo, il portale che va in tilt e i ritardi nelle procedure di profilazione dei professionisti che, come loro, necessitano di un’abilitazione per poter presentare le domande di terzi.
La Banca d’Italia dice che il contributo dei lavoratori stranieri è stato fondamentale in questi anni. Confindustria che ne servono 120 mila in più all’anno e che i 450 mila previsti dal decreto per il triennio 2023-2025 sono insufficienti. Se poi nemmeno quelli riescono ad arrivare, il problema si allarga. Con appena il 23,5% degli stranieri entrati in Italia per lavorare che ha ottenuto un contratto regolare e quindi il permesso di soggiorno (dossier Ero Straniero), il decreto del governo ha previsto una stretta nei controlli: dall’obbligo dei dati biometrici, che lo straniero dovrà fornire al momento della richiesta di visto, all’esclusione di datori con precedenti per sfruttamento o violazioni contrattuali, e fino a una black list dei Paesi d’origine per i quali è più alto il rischio di certificazioni contraffatte, in cui per adesso compaiono Bangladesh, Pakistan e Sri Lanka. Ma non solo. Per la presentazione delle domande sono stati esclusi i patronati. Così, tanti datori hanno dovuto rivolgersi a commercialisti, consulenti del lavoro e avvocati. Questi, a loro volta, hanno dovuto farsi abilitare (art. 1 della L. n.12/1979). “Ho scritto e chiamato il ministero del Lavoro, l’Ispettorato nazionale del Lavoro, quello territoriale, il Viminale e pure il nostro ordine: all’inizio nessuno sapeva darmi risposte”, racconta al Fatto Maria Sipione che, alla fine, ha ottenuto la profilazione il 10 novembre. “Ma un’altra collega l’ha ottenuta solo lunedì scorso, il 25 novembre, vedendo i giorni utili ridursi all’osso”.
Avvocati e consulenti si sono messi a collaborare, dividendosi il lavoro tra asseverazioni e compilazione delle domande. Nella speranza di registrarne più possibile. “Però abbiamo avvertito i potenziali datori del rischio di non farcela, e ovviamente registrato la frustrazione di chi rischia di restare senza la necessaria manodopera per affrontare, ad esempio, la prossima stagione turistica”, raccontano le avvocate. Che riportano le difficoltà a reperire lavoratori per mansioni che, spiegano, “le aziende ormai faticano a coprire con gli italiani”. Per non parlare degli anziani che, privati dei patronati, si sono rivolti anche a loro per trovare colf e badanti: “Ci voleva una procedura più semplice, perché spesso l’età non aiuta e adesso ci vuole lo Spid, la Pec alla quale viene inviato il codice della domanda, la registrazione del domicilio digitale sul portale dell’Indice nazionale (INAD)”. Insomma, un lavorone. “Se tutto va bene, una persona che non si dedica ad altro può registrare una trentina di domande al giorno, forse quaranta”. Ma, tanto per cambiare, ci sono pure i problemi tecnici. “Negli ultimi due giorni la piattaforma del Viminale è rimasta bloccata. Ieri si è sbloccata solo alle sette di sera”, prosegue il racconto di chi ricorda il calvario dei click day, compreso l’ultimo, quello di marzo. In una regione come la Sicilia, dove le agenzie per il lavoro sono poche e le associazioni di categoria faticano ad affrontare la burocrazia necessaria, i professionisti hanno chiesto una proroga alla luce dei ritardi e degli ostacoli tecnici. “Ai primi di novembre il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Viminale ha risposto che non ritiene necessario il prolungamento della finestra”.
A due giorni dalla scadenza, invece, è chiaro che una proroga sarebbe servita. Solo nello studio legale delle due avvocate, a Modica, “le domande non registrate potrebbero essere più di 150”. Si tratta per lo più di contratti stagionali, ma non solo, da offrire prevalentemente a cittadini tunisini, marocchini ed egiziani nei settori dell’edilizia, dell’agricoltura, del turismo e dell’assistenza ad anziani e persone con disabilità. Le rappresentanze sindacali, e non solo, hanno più volte esortato il governo a superare l’attuale sistema. Ma nella riforma, ha ribadito la Cgil nel giorno della fiducia al dl “flussi”, “è assente la previsione di una procedura di regolarizzazione, per tutti i settori economici e produttivi, attivabile anche su istanza di chi lavora o di chi ha lavorato in Italia. Occorrerebbe l’introduzione del permesso di soggiorno per ricerca di occupazione, il ripristino della figura dello sponsor, la reintroduzione della convertibilità dei permessi di soggiorno per protezione speciale in permessi di lavoro, l’accesso alle quote dei flussi delle persone già presenti sul territorio nazionale, il superamento del click day, da sostituire con un meccanismo scorrevole, attivabile correntemente su tutto l’anno“. Temi già sul tavolo di altri governi, a partire dalla richiesta di superamento della legge Bossi-Fini e dalla possibilità di chiedere il nulla osta all’ingresso per lavoro in ogni momento dell’anno, così da facilitare i controlli senza penalizzare chi ha davvero bisogno di manodopera. Alla prova dei fatti, si è persa un’altra occasione.