Ergastolo. Come la Corte d’Assise d’Appello di Messina, anche quella di Reggio Calabria ha confermato il carcere a vita per Antonio De Pace, l’infermiere calabrese che il 21 marzo 2020 a Furci Siculo, in provincia di Messina, ha ucciso la sua fidanzata, Lorena Quaranta che stava per laurearsi in Medicina. Dopo aver colpito la vittima alla fronte con un oggetto, tramortendola, l’uomo l’aveva immobilizzata e poi soffocata. La ragazza, in sostanza, era stata strangolata da De Pace che era il suo convivente il quale, dopo l’omicidio, aveva chiamato i carabinieri confessando il delitto e mostrando i polsi insanguinati. La sentenza è arrivata oggi al termine del secondo processo celebrato dopo il rinvio disposto dalla Cassazione lo scorso luglio quando i giudici della Suprema Corte avevano annullato l’ergastolo inflitto dalla Corte d’Assise d’Appello di Messina “limitatamente al diniego delle circostanze attenuanti generiche”.
Annullando quella sentenza, essendoci a Messina una sola sezione della Corte d’Assise d’Appello, il processo è stato spostato a Reggio Calabria dove nuovi giudici hanno dovuto valutare non la responsabilità penale dell’imputato, dichiarata “irrevocabile” dalla Cassazione, ma la mancata concessione delle attenuanti “per stress da Covid”. Nella sentenza degli ermellini, infatti, c’era scritto che i primi giudici non avevano verificato se “la contingente difficoltà di porre rimedio” allo stato d’angoscia dell’imputato a causa del Covid, “costituisca un fattore incidente sulla misura della responsabilità penale”.
“Deve stimarsi che i giudici di merito – si legge infatti nella sentenza di Cassazione – non abbiano compiutamente verificato se, data la specificità del contesto, possa, ed in quale misura, ascriversi all’imputato di non avere ‘efficacemente tentato di contrastare’ lo stato di angoscia del quale era preda” e se la fonte del disagio fosse “evidentemente rappresentata dal sopraggiungere dell’emergenza pandemica, con tutto ciò che essa ha determinato sulla vita di ciascuno e, quindi, anche dei protagonisti della vicenda”.
In termini di condanna, la concessione delle attenuanti generiche avrebbe consentito a De Pace di evitare l’ergastolo. Nel secondo processo d’appello, la tesi della Suprema Corte era stata condivisa dalla Procura generale di Reggio Calabria. Lo scorso ottobre, infatti, nella sua requisitoria, il sostituto pg Domenico Galletta aveva chiesto di ridurre la condanna a 24 anni di carcere. Che sarebbe stata la pena massima se fossero state riconosciute le attenuanti generiche, “ritenendole equivalenti alla circostanza aggravante dal fatto che Antonio De Pace ha ucciso una persona a lui legata da una stabile relazione affettiva e con lui convivente”.
Non una condivisione a prescindere di quanto scrive la Cassazione: il sostituto pg Galletta, infatti, in aula ha ricordato “alcuni studi sui disturbi dissociativi” affermando, infine, che “dobbiamo interrogarci sul fatto se il soggetto avrebbe potuto frenare quell’angoscia”. Lo aveva escluso, nella stessa udienza, l’avvocato di parte civile Giuseppe Barba secondo cui “lo stato d’angoscia mi porta a dare un calcio o a sbattere al muro una persona, in caso, uccidendola accidentalmente. – dice – Qui l’imputato non ha mai chiesto scusa ai genitori e ai fratelli di Lorena”.
Alle parti civili che invocavano una sentenza “giusta”, nella sua arringa l’avvocato Salvatore Staiano, difensore di De Pace (insieme ai legali Bruno Ganino e Marta Staiano), ha sostenuto “la pena non deve essere giusta o ingiusta. Deve essere proporzionata”. Sempre nel corso del suo intervento in aula, l’avvocato di De Pace aveva affermato più volte che il delitto Quaranta “non può essere considerato di genere” perché è stato “un omicidio apparentemente senza causale se non quello dello stato di angoscia”.
Il riconoscimento delle attenuanti generiche, però, non ha convinto la Corte d’Assise d’Appello presieduta da Angelina Bandiera (a latere il giudice Caterina Asciutto). Da qui la conferma della sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Messina che aveva inflitto l’ergastolo per Antonio De Pace e che era stata annullata dalla Cassazione. Dove, probabilmente, il processo ritornerà se l’imputato farà ricorso alla nuova sentenza. Ma per capirlo, occorrerà attendere le motivazioni che saranno depositate entro 90 giorni.