“La Russia spende fino al 9% del suo Pil per la difesa. L’Europa spende in media l’1,9%. C’è qualcosa di sbagliato in questa equazione. La nostra spesa per la difesa deve aumentare. E abbiamo bisogno di un mercato unico della difesa”. Formalmente la chiamata alle armi della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen – arrivata durante il discorso con cui ha chiesto la fiducia della nuova commissione – non fa una grinza. E però… ci sono molti però. A cominciare dagli aspetti più genuinamente aritmetici delle sue parole.
Quantificare le spese in armi e armamenti di un paese in guerra come la Russia, che non ci tiene particolarmente a farlo sapere, non è facile. Von der Leyen dice “fino al 9%”. Tuttavia, secondo le cifre contenute nei bilanci di Mosca, il dato per il 2025 sale ma si ferma al 6,3% del Pil. Se si aggiungono anche le spese per la “sicurezza”, si arriva all’8%. Sono i valori più alti dai tempi della guerra fredda, paragonabili a quello che contraddistinguevano l’Unione Sovietica. Sono però circa un terzo al di sotto rispetto a quanto indicato dalla presidente della Commissione. Inoltre, nel 2023, la spesa russa era ancora al 4,4% del Pil.
Il dato rapportato al Prodotto interno lordo dice inoltre solo una parte della verità, e, da un certo punto di vista, quella meno importante. Trattandosi di un rapporto, non è una cifra in valore assoluto. Ci indica quanto un paese si sta sforzando per sostenere il suo apparato bellico ma non quanti missili, carri armati o jet è in grado di comprare. Un paese povero può spendere anche il 40% del suo Pil in armi ma potrà comprarne meno di uno stato ricco che stanzia il 2% di un Pil più grande. In concreto, il Pil della Russia vale più o meno quanto quello italiano, 2mila miliardi di euro. Un adeguamento a parità di potere d’acquisto potrebbe dare dimensioni più corrette delle reali, e maggiori, dimensioni dell’economia russa. Tuttavia le armi quello costano, chiunque sia a comprarle.
Il Pil dell’intera Unione europea ammonta invece ad oltre 18mila miliardi di euro, 9 volte quello della Russia. Ora basta fare due calcoli: l’1,9% del Pil Ue significa circa 350 miliardi di euro. Il 9% del Pil russo ipotizzato da von der Leyen significa invece 180 miliardi. Insomma, già oggi l’Ue spende tanto quanto basta per comprare almeno il doppio di armi e munizioni rispetto a Mosca. Un dato più preciso si otterrebbe guardando le quote per ogni singolo Paese, ma in linea di massima l’ordine delle grandezze è questo. Che poi manchi un coordinamento tra stati europei che consentirebbe di rendere più efficiente ed efficacia questa spesa è un altro paio di maniche.
Mettere un poco di ordine nei numeri non significa neppure negare che possa essere opportuno considerare uno sforzo maggiore, anche economico, nella difesa. Piaccia o meno, se ci si vuole emancipare, in tutto o in parte, dalla protezione statunitense l’amaro calice andrà bevuto. O saremo costretti a berlo se questo è, come sembra, l’orientamento dell’amministrazione Trump, meno incline a un ruolo di “poliziotto globale” degli Usa. A sollecitare budget più corposi sono tati anche i rapporti di Enrico Letta e di Mario Draghi, di cui la presidente della Commissione propugna ora una versione vitaminizzata.
Oggi gli Stati Uniti spendono in difesa il 3,3% del loro Pil, ovvero quasi 900 miliardi di euro. È il budegt più alto, in rapporto al Pil, dopo quello della Russia. Seguono la Corea del Sud (2,8%), alle prese con un vicino confinante molto impegnativo, la Gran Bretagna (2,6%) e l’Iran (2,2%). La Cina si ferma all’1,3% (significa comunque 240 miliardi) ma con una crescita sostenuta negli ultimi anni. In netto aumento sono, come facilmente intuibile, pure le spese di Israele (che gode comunque di un importante supporto statunitense). Non ci sono dati ufficiali ma la cifra non è lontana, nel 2024, dal 20% del Pil. Quanto all’Italia, siamo da anni fermi introno all’1,5% del Pil, ovvero più o meno 30 miliardi di euro.
Da tempo la Nato chiede ai suoi membri di alzare la spesa almeno fino al 2%. Una richiesta destinata a rafforzarsi con l’avvento dell’amministrazione Trump. Von der Leyen accoglie e rilancia. Per l’Italia significherebbe mettere sul piatto altri dieci miliardi di euro l’anno. Qui si apre la questione di dove trovare questi soldi. Se non si fa deficit, o si aumentano le tasse oppure vanno sottratti ad altri capitoli di spesa (sanità, scuole, etc). Molti paesi, Germania in primis, hanno già rafforzato i loro stanziamenti per le forze armate. A livello europeo si ragiona quindi sull’emissione di eurobond per raccogliere denaro sui mercati che serva a pagare le spese militari. I costruttori di armi si godono il momento, corrono in borsa, macinano ricavi e profitti.
La scorsa primavera l’agenzia Bloomberg ha condotto una simulazione ipotizzando che la spesa per difesa dei paesi del G7 tornasse sui valori della guerra fredda, ovvero intorno al 4% del Pil. In tal caso si tratterebbe di spendere 10mila miliardi di dollari (in euro è più o meno la stesa cifra) nei prossimi dieci anni. La sola Italia dovrebbe trovare 70 miliardi di euro in più ogni anno. Se poi volessimo portarci ai livelli che von der Leyen attribuisce alla Russia dovremmo trovare la bellezza di 160 miliardi aggiuntivi ogni anno, proiettile più, proiettile meno.
Merita concludere con una citazione. A parlare (discorso “The chance for peace” all’American Association of newspaper editor, 1953) è il presidente statunitense Dwight Eisenhower, che fu a comandante delle forze alleate durante la fase finale della seconda guerra mondiale. “Ogni fucile fabbricato, dice Eisenhower, ogni nave da battaglia varata, ogni missile sparato significa, in fin dei conti, togliere qualcosa a chi ha fame e non ha di che mangiare, a chi soffre il freddo e non ha di che vestirsi e riscaldarsi”.
Zonaeuro
L’Unione europea spende in armi il doppio della Russia e più della Cina. Ma secondo Von der Leyen è ancora troppo poco
“La Russia spende fino al 9% del suo Pil per la difesa. L’Europa spende in media l’1,9%. C’è qualcosa di sbagliato in questa equazione. La nostra spesa per la difesa deve aumentare. E abbiamo bisogno di un mercato unico della difesa”. Formalmente la chiamata alle armi della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen – arrivata durante il discorso con cui ha chiesto la fiducia della nuova commissione – non fa una grinza. E però… ci sono molti però. A cominciare dagli aspetti più genuinamente aritmetici delle sue parole.
Quantificare le spese in armi e armamenti di un paese in guerra come la Russia, che non ci tiene particolarmente a farlo sapere, non è facile. Von der Leyen dice “fino al 9%”. Tuttavia, secondo le cifre contenute nei bilanci di Mosca, il dato per il 2025 sale ma si ferma al 6,3% del Pil. Se si aggiungono anche le spese per la “sicurezza”, si arriva all’8%. Sono i valori più alti dai tempi della guerra fredda, paragonabili a quello che contraddistinguevano l’Unione Sovietica. Sono però circa un terzo al di sotto rispetto a quanto indicato dalla presidente della Commissione. Inoltre, nel 2023, la spesa russa era ancora al 4,4% del Pil.
Il dato rapportato al Prodotto interno lordo dice inoltre solo una parte della verità, e, da un certo punto di vista, quella meno importante. Trattandosi di un rapporto, non è una cifra in valore assoluto. Ci indica quanto un paese si sta sforzando per sostenere il suo apparato bellico ma non quanti missili, carri armati o jet è in grado di comprare. Un paese povero può spendere anche il 40% del suo Pil in armi ma potrà comprarne meno di uno stato ricco che stanzia il 2% di un Pil più grande. In concreto, il Pil della Russia vale più o meno quanto quello italiano, 2mila miliardi di euro. Un adeguamento a parità di potere d’acquisto potrebbe dare dimensioni più corrette delle reali, e maggiori, dimensioni dell’economia russa. Tuttavia le armi quello costano, chiunque sia a comprarle.
Il Pil dell’intera Unione europea ammonta invece ad oltre 18mila miliardi di euro, 9 volte quello della Russia. Ora basta fare due calcoli: l’1,9% del Pil Ue significa circa 350 miliardi di euro. Il 9% del Pil russo ipotizzato da von der Leyen significa invece 180 miliardi. Insomma, già oggi l’Ue spende tanto quanto basta per comprare almeno il doppio di armi e munizioni rispetto a Mosca. Un dato più preciso si otterrebbe guardando le quote per ogni singolo Paese, ma in linea di massima l’ordine delle grandezze è questo. Che poi manchi un coordinamento tra stati europei che consentirebbe di rendere più efficiente ed efficacia questa spesa è un altro paio di maniche.
Mettere un poco di ordine nei numeri non significa neppure negare che possa essere opportuno considerare uno sforzo maggiore, anche economico, nella difesa. Piaccia o meno, se ci si vuole emancipare, in tutto o in parte, dalla protezione statunitense l’amaro calice andrà bevuto. O saremo costretti a berlo se questo è, come sembra, l’orientamento dell’amministrazione Trump, meno incline a un ruolo di “poliziotto globale” degli Usa. A sollecitare budget più corposi sono tati anche i rapporti di Enrico Letta e di Mario Draghi, di cui la presidente della Commissione propugna ora una versione vitaminizzata.
Oggi gli Stati Uniti spendono in difesa il 3,3% del loro Pil, ovvero quasi 900 miliardi di euro. È il budegt più alto, in rapporto al Pil, dopo quello della Russia. Seguono la Corea del Sud (2,8%), alle prese con un vicino confinante molto impegnativo, la Gran Bretagna (2,6%) e l’Iran (2,2%). La Cina si ferma all’1,3% (significa comunque 240 miliardi) ma con una crescita sostenuta negli ultimi anni. In netto aumento sono, come facilmente intuibile, pure le spese di Israele (che gode comunque di un importante supporto statunitense). Non ci sono dati ufficiali ma la cifra non è lontana, nel 2024, dal 20% del Pil. Quanto all’Italia, siamo da anni fermi introno all’1,5% del Pil, ovvero più o meno 30 miliardi di euro.
Da tempo la Nato chiede ai suoi membri di alzare la spesa almeno fino al 2%. Una richiesta destinata a rafforzarsi con l’avvento dell’amministrazione Trump. Von der Leyen accoglie e rilancia. Per l’Italia significherebbe mettere sul piatto altri dieci miliardi di euro l’anno. Qui si apre la questione di dove trovare questi soldi. Se non si fa deficit, o si aumentano le tasse oppure vanno sottratti ad altri capitoli di spesa (sanità, scuole, etc). Molti paesi, Germania in primis, hanno già rafforzato i loro stanziamenti per le forze armate. A livello europeo si ragiona quindi sull’emissione di eurobond per raccogliere denaro sui mercati che serva a pagare le spese militari. I costruttori di armi si godono il momento, corrono in borsa, macinano ricavi e profitti.
La scorsa primavera l’agenzia Bloomberg ha condotto una simulazione ipotizzando che la spesa per difesa dei paesi del G7 tornasse sui valori della guerra fredda, ovvero intorno al 4% del Pil. In tal caso si tratterebbe di spendere 10mila miliardi di dollari (in euro è più o meno la stesa cifra) nei prossimi dieci anni. La sola Italia dovrebbe trovare 70 miliardi di euro in più ogni anno. Se poi volessimo portarci ai livelli che von der Leyen attribuisce alla Russia dovremmo trovare la bellezza di 160 miliardi aggiuntivi ogni anno, proiettile più, proiettile meno.
Merita concludere con una citazione. A parlare (discorso “The chance for peace” all’American Association of newspaper editor, 1953) è il presidente statunitense Dwight Eisenhower, che fu a comandante delle forze alleate durante la fase finale della seconda guerra mondiale. “Ogni fucile fabbricato, dice Eisenhower, ogni nave da battaglia varata, ogni missile sparato significa, in fin dei conti, togliere qualcosa a chi ha fame e non ha di che mangiare, a chi soffre il freddo e non ha di che vestirsi e riscaldarsi”.
Articolo Precedente
Commissione Ue, dal ‘no’ dei Popolari spagnoli al voto sparso tra i Socialisti: la maggioranza Ursula nasce già divisa
Articolo Successivo
Ucraina, Parlamento Ue contro ogni iniziativa diplomatica con Putin (anche di Scholz). E dice sì alle armi a lungo raggio a Kiev
Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione
Cronaca
Caos treni, una catena sui binari serve a rilanciare l’ipotesi sabotaggio. Il Mit: “Estrema preoccupazione”. Dietro i guasti non c’è alcun dolo: l’inchiesta del Fatto
Da Il Fatto Quotidiano in Edicola
Gaza, la tregua e i nomi degli ostaggi. L’Idf: “Pronti ad accoglierli. Cessate il fuoco alle 8.30 di domenica”. Intercettato missile dallo Yemen
Da Il Fatto Quotidiano in Edicola
Santanchè a processo, da Meloni e da Fdi non arriva alcuna difesa. La ministra più vicina all’addio
Roma, 18 gen. (Adnkronos) - "Dopo anni di damnatio memoriae qualcuno si ricorda del riformismo di Craxi e del fatto che fosse un uomo di sinistra. Le sue posizioni in politica estera, la fedeltà all’Alleanza atlantica ma senza subordinazione agli Stati Uniti, la grande apertura verso il sud del mondo, le riforme istituzionali, la necessità della Grande riforma, le politiche economiche e sociali, l'atteggiamento anche critico nei confronti dell'Europa. Tutti temi che anticiparono le grandi questioni di una moderna sinistra riformista. Alcune sue scelte possono essere controverse ma rinnegare il suo contributo riformatore è un falso storico inaccettabile". Così la senatrice Raffaella Paita, coordinatrice nazionale di Italia viva.
Roma, 18 gen. (Adnkronos) - "Questa mattina , accogliendo anche una proposta del presidente della Comunità ebraica De Paz, dalla finestra di Palazzo D'Accursio a Bologna sventolano affiancate tre bandiere: quella israeliana, quella palestinese e la bandiera della pace". Lo afferma Emanuele Fiano, presidente di Sinistra per Israele, che, aggiunge, "plaude a questa decisione del sindaco di Bologna, che dà rappresentazione all’unica possibile soluzione per giungere ad una pace duratura: il riconoscimento ad entrambi i popoli, israeliano e palestinese, del pieno diritto di autodeterminarsi e di vivere in un proprio Stato indipendente in pace e sicurezza".
Agrigento, 18 gen.(Adnkronos) - "Agrigento, con l’isola di Lampedusa e i comuni della provincia, ha assunto come ispirazione, riferimento tematico e obiettivo di questo anno la relazione fra l’individuo, il prossimo e la natura, ponendo come fulcro l’accoglienza e la mobilità. Il programma delle iniziative presentato a un pubblico nazionale e internazionale è di grande interesse. Partendo dalla straordinaria eredità culturale del territorio, infatti, valorizza una variegata offerta culturale, nella quale tradizione, intersezioni e contaminazioni culturali consentono di definire una dimensione innovativa che guarda con fiducia allo sviluppo socio-economico che, con fatica ma con determinazione, la Sicilia ha già avviato". È questo uno dei passaggi centrali del saluto del presidente della Regione Siciliana, Renato Schifani, nella cerimonia di apertura di Agrigento Capitale italiana della Cultura 2025, che si è svolta questa mattina al Teatro Pirandello, alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, del ministro della Cultura, Alessandro Giuli, del presidente dell'Ars, Gaetano Galvagno, del sindaco di Agrigento, Francesco Micciché, del commissario straordinario del Libero Consorzio di Agrigento, Giovanni Bologna e di tutte le autorità locali.
"Di assoluto rilievo - ha aggiunto il presidente Schifani, interrotto più volte da applausi - è il coinvolgimento attivo delle giovani generazioni, in una terra che troppe energie perde ancora a causa dell’emigrazione, affinché la cultura possa rappresentare un caposaldo della crescita personale e dell’intera comunità. Il titolo di Capitale della Cultura, che si è ormai consolidato dopo tante edizioni, offrirà ad Agrigento e all’intera Sicilia l’opportunità di rinsaldare e far conoscere le proprie radici, mostrandole agli italiani e agli stranieri che, siamo certi numerosi, verranno a visitarla".
"Da Agrigento, mentre nel Mediterraneo inizia a spirare un flebile vento di pace, la Capitale italiana della Cultura darà l'opportunità di far conoscere quell'incrocio di civiltà che è stato e che è – ha sottolineato - grazie alla capacità di comporre le differenze, di metterle a sistema, di ricondurre le antitesi a sintesi proprio attraverso la cultura e la sua bellezza senza tempo" "Il governo della Regione - ha continuato il governatore - ha avviato un’azione preparatoria di questo anno particolare promuovendo il concerto natalizio trasmesso dalla Valle dei templi in televisione. Un evento che ha avuto un significativo successo a livello nazionale. Il rilevante sostegno finanziario offerto dalla Regione è giustificato dalla convinzione che questo importante investimento culturale sia una straordinaria opportunità per tutta la Sicilia, così come lo sarà Gibellina prima Capitale italiana dell’Arte contemporanea nel 2026".
"Ad Agrigento, di fronte a questo suggestivo “mare africano, immenso e geloso”, inizia oggi un nuovo cammino. E sarà intersecato da opportunità che occorre cogliere, da sogni operosi da trasformare in nuove iniziative culturali ed imprenditoriali, sorrette dall’impegno per realizzazioni concrete. Questa antica Città – ha proseguito Schifani - come la Sicilia intera, è culla della cultura, della civiltà, della filosofia, della letteratura, del diritto, pur se tra le tremende contraddizioni delle difficoltà economiche e del peso della criminalità mafiosa, i due angeli neri dai quali ci stiamo progressivamente affrancando con una scelta di popolo che si è alimentata col sacrificio di eroi che hanno offerto la loro vita. Pirandello diceva di esser nato in Sicilia e che qui “l’uomo nasce isola nell’isola e rimane tale fino alla morte”".
"Proprio partendo dalla consapevolezza di sé, del proprio retaggio storico, dell’immensa eredità culturale ricevuta, del prezioso ecosistema da preservare e tramandare alle future generazioni - ha concluso il presidente Schifani - ci si deve aprire all’altro, alla comunità, alla natura, al confronto, spesso misterioso, con la diversità (culturale, religiosa, etnica), alla natura. Una visione relazionale, di accoglienza, di dialogo che è l’antico retaggio di un’identità plurale condivisa. Noi in Sicilia facciamo così da secoli. Ed Agrigento potrà essere ancora una volta testimonianza ed emblema dalla cultura siciliana ed italiana".
Roma, 18 gen. (Adnkronos) - “La Procura smentisce la ricostruzione della sinistra sulla morte del povero Ramy. Una ricostruzione che ha alimentato un clima di odio e violenza nei confronti delle nostre Forze dell’Ordine che invece meritano vicinanza e rispetto. È anche per questo che Fratelli d’Italia sostiene l’approvazione del ddl sicurezza”. Così ai tg Galeazzo Bignami, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera.
Roma, 18 gen. (Adnkronos) - "Da Ruffini sono venute oggi parole misurate e rispettose degli avversari, secondo lo stile di un civile servitore che ha avuto anche la stima della destra. La sua sfida va raccolta anche nel centrodestra: serve una nuova forza di ispirazione cristiana che razionalizzi una presenza dei cattolici fin qui disordinata, scomposta e politicamente irrilevante". Così il presidente della Dc Gianfranco Rotondi.
Roma, 18 gen. (Adnkronos) - "Sono contento che il sindaco della città di Bologna, Matteo Lepore, abbia deciso l’esposizione dal Palazzo municipale della bandiera israeliana e di quella palestinese. ‘Due popoli e due Stati’ è la vocazione tradizionale della politica estera italiana ed è il rinnovato impegno che dobbiamo assumere oggi, in un momento di turbolenze assai preoccupanti per la pace nel mondo. Non basta un accordo di cessate il fuoco emergenziale: è necessario intraprendere con coraggio la strada della convivenza stabile e duratura. L’Europa faccia finalmente sentire la sua voce con maggiore incisività. Il gesto simbolico del Comune di Bologna sia di auspicio per tutti”. Lo scrive Pier Ferdinando Casini su Facebook.
Agrigento, 18 gen. (Adnkronos) - All’uscita nel cortile del teatro Pirandello di Agrigento, al termine della cerimonia per Agrigento Capitale della Cultura, l’orchestra ha suonato al passaggio del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, le musiche di 'Nuovo cinema Paradiso' e il Capo dello Stato si è fermato per qualche istante ad ascoltare. Poi è uscito a salutare i cittadini che hanno assistito alla cerimonia davanti al maxischermo.