Trentaduemila dipendenti in meno, con una fuga che ha riguardato soprattutto il servizio sanitario e gli enti locali. E l’emorragia prosegue, con oltre 6mila impiegati pubblici che si sono dimessi in 18 mesi, tra gennaio 2023 e lo scorso giugno: Milano e i 132 comuni limitrofi non sono più un’area attraente per chi lavora nella pubblica amministrazione, sostengono Fp Cgil e Camera del Lavoro sulla base dei dati Inps elaborati dallo stesso sindacato. Ci sono le statistiche lì a raccontarlo. Le cause? “Una crescente insoddisfazione legata sia alle condizioni economiche sia alla scarsa valorizzazione del lavoro pubblico”, spiega il segretario generale Fp Cgil Milano Alberto Motta sottolineando come la riduzione del personale e la crescente difficoltà di attrarre nuovi talenti rappresentino “ostacoli significativi” per il futuro del pubblico impiego. Un tema noto anche a Palazzo Marino, con il sindaco Beppe Sala che lo scorso dicembre adombrò l’ipotesi di rispolverare le gabbie salariali.
I dati
Tra il 2022 e il 2023 il numero di occupati nel pubblico impiego della città metropolitana è diminuito del 15,1%, corrispondente a oltre 32.000 dipendenti, ha spiegato la Fp Cgil. La riduzione ha riguardato principalmente il servizio sanitario (-14,7%) e gli enti locali (-15,9%), ma investe anche i ministeri e magistratura (-9,3%), le forze armate, la polizia, i vigili del fuoco (-8,3%). Dalle 211.636 posizioni previdenziali attive due anni fa si è scesi a 179.479 con un impatto più rilevante in Regione, Comuni e Provincia e nella sanità. In 6mila – secondo i dati di Sviluppo Lavoro Italia, l’ex Anpal – hanno rassegnato le dimissioni nell’area metropolitana. Un problema anche di buste paga, ad avviso del sindacato. Ma come sono messi gli stipendi dei dipendenti? La retribuzione giornaliera media nel 2023 ha raggiunto 125 euro registrando un incremento dell’8,6% rispetto al 2021, quando la media era di 121 euro. Un incremento che il sindacato definisce “debole” poiché non ha compensato l’effetto dell’inflazione, “determinando anzi una riduzione del potere d’acquisto” per tutti i comparti pubblici.
Le difficoltà di alcuni settori del pubblico
“Nonostante gli incrementi nominali del reddito medio” dei pubblici dipendenti nel triennio – spiega la Fp Cgil – gli stipendi “segnano un decremento marcato” per effetto dell’inflazione. “Ostacolare i rinnovi contrattuali secondo le richieste delle organizzazioni sindacali significa programmare la riduzione dei salari reali”. Il tema è particolarmente sentito in quelle categorie che ricadono sotto la contrattazione collettiva. Secondo i dati della Fp Cgil, infatti, i lavoratori pubblici che hanno un reddito definito per legge (magistratura, forze armate, polizia) hanno avuto un incremento medio nel decennio del 25%, pari a quasi il doppio di quelle categorie (servizio sanitario, autonomie locali e scuola) il cui reddito è definitivo dalla contrattazione che è passato da 102,60 a 116 euro con un aumento del 13 per cento.
La “tempesta perfetta”
Il segretario generale Cgil Milano Luca Stanzione avvisa come questo periodo rappresenti una “tempesta perfetta” a livello economico con “indicatori che richiamano la crisi del 2008 e fattori strutturali simili a quelli del 1973: l’aumento del costo dell’energia, i dazi commerciali, la recessione economica in Germania, primo mercato di riferimento per l’Italia, e la crescente densificazione delle grandi aree metropolitane”. Questi fattori, sottolinea, “incidono non solo sul costo della vita, ma anche sui salari, specialmente nel pubblico impiego”. Un quadro al quale, secondo Stanzione, va aggiunto “un preciso disegno politico di smantellamento” del welfare pubblico.
Il caro casa e l’esempio del passato
“Un esempio – aggiunge Stanzione – è l’aumento esponenziale del prezzo delle abitazioni, che riduce ulteriormente il potere d’acquisto dei lavoratori”. Basti pensare che lo stesso Ufficio statistico del Comune di Milano, lo scorso gennaio, ha certificato come in otto anni la vita avesse subito un aumento medio del 20% e gli immobili schizzati del 30 per cento. La Cgil ha chiesto di “istituire un fondo pubblico per sostenere la cooperazione a proprietà indivisa, un modello storico di successo, particolarmente a Milano” e che “potrebbe fungere da garanzia per ottenere linee di credito dalle banche, permettendo la costruzione di nuove abitazioni”. Un’utopia? Non secondo il sindacato: “Enti locali e aziende pubbliche come Atm o Enel hanno già adottato soluzioni simili in passato”.