La risoluzione del Parlamento europeo sul sostegno all’Ucraina rappresenta un altro passo di Bruxelles non in direzione della pace, ma della guerra, e lancia un messaggio chiaro su quale sarà la linea dell’Unione europea per i prossimi cinque anni: vietata qualsiasi iniziativa diplomatica individuale, anche se ad avviarla è un capo di governo come il […]
La risoluzione del Parlamento europeo sul sostegno all’Ucraina rappresenta un altro passo di Bruxelles non in direzione della pace, ma della guerra, e lancia un messaggio chiaro su quale sarà la linea dell’Unione europea per i prossimi cinque anni: vietata qualsiasi iniziativa diplomatica individuale, anche se ad avviarla è un capo di governo come il cancelliere tedesco. Il testo ha passato l’esame della Plenaria con 390 voti favorevoli, 135 contrari e 52 astensioni, ma ad attirare l’attenzione sono le fratture e i riposizionamenti sugli emendamenti più controversi anche tra i partiti italiani.
Scholz come Orbán: l’Ue dice ‘no’ a ogni tentativo di dialogo con Putin
La telefonata tra Olaf Scholz e Vladimir Putin del 15 novembre scorso aveva fatto ben sperare chi aspetta la ripresa di un dialogo formale tra la Russia e gli alleati di Kiev, soprattutto l’Europa che dovrà fare presto i conti con il cambio di atteggiamento promesso dal neoeletto presidente americano Donald Trump. Il capo del governo del più importante Paese europeo aveva quindi preso l’iniziativa e tenuto un bilaterale a distanza con il capo del Cremlino, a due anni dall’ultima volta. Ma nel testo approvato dal Parlamento Ue col pieno sostegno di Fratelli d’Italia, Forza Italia, Pd (a eccezione di Strada e Tarquinio che si sono astenuti) e il voto contrario di Lega, Movimento 5 Stelle e Sinistra Italiana si legge chiaramente che l’Eurocamera “si rammarica della recente telefonata del cancelliere tedesco a Vladimir Putin”. Una bocciatura secca della mossa del capo dell’esecutivo di Berlino al quale è toccata la stessa sorte di Viktor Orbán che decise, poche ore dopo aver assunto la presidenza di turno dell’Ue, di incontrare Zelensky, Putin e Xi Jinping nel giro di pochi giorni. Il tutto avviene, inoltre, a poche ore dalla decisione del primo ministro slovacco, Robert Fico, di accettare l’invito del Cremlino a partecipare alle celebrazioni di maggio a Mosca per la vittoria nella Seconda Guerra Mondiale (Grande Guerra Patriottica per i russi).
Se si vanno a guardare i voti relativi a questo singolo emendamento, l’interesse cade immediatamente sul comportamento della famiglia socialista, sulla carta alleata della Spd tedesca. Il Pd, ad esempio, ha votato compattamente per non includere questo passaggio nella risoluzione, ma due eurodeputati, Pina Picierno e Alessandro Zan, hanno invece deciso di schierarsi con la maggioranza, insieme anche a Fratelli d’Italia e Forza Italia, condividendo il “rammarico” per la mossa di Scholz. Che in suo soccorso, al contrario, ha visto arrivare tutti gli eurodeputati della Lega presenti, oltre a quelli di M5s e Sinistra (esclusa Ilaria Salis).
Missili a lungo raggio: il governo cambia posizione, il Pd si sgretola
Il vero caos, se la si guarda da una prospettiva italiana, emerge quando si affronta il tema dell’invio dei missili a lungo raggio. E la sensazione è che il via libera dato da Joe Biden ai raid nel Kursk sia stato recepito a Bruxelles e soprattutto a Roma. L’Ue si era già espressa a favore dell’utilizzo di armi europee nelle regioni della Federazione, ma il governo italiano aveva sempre ribadito, sia nelle proprie dichiarazioni che con il proprio voto, che quella era una linea rossa che non andava oltrepassata per evitare un eccessivo coinvolgimento italiano nel conflitto in Ucraina. Ma oggi le cose sembrano andare diversamente se si parla di missili a lunga gittata, pensati proprio per oltrepassare il confine nemico: mentre la Lega è rimasta contraria, Forza Italia e Fratelli d’Italia hanno rivisto le proprie posizioni. I primi sembrano aver cestinato definitivamente la linea Tajani sostenendo compattamente l’invio di queste armi, mentre il principale partito di governo ha deciso di astenersi. Ma il dramma politico si è consumato tra le fila del Pd. Sei eurodeputati (Bonaccini, Gori, Maran, Picierno, Tinagli e Zan) hanno votato a favore, mentre gli altri nove presenti si sono dichiarati contrari. Sancendo così l’ennesima spaccatura interna alla formazione Dem sul tema del sostegno a Kiev.