Arrestate per aver mendicato in strada. Violentate dietro le sbarre. La condizione delle donne in Afghanistan si arricchisce di un nuovo incubo. A raccontarlo sono i media che hanno avuto accesso alle testimonianze: uno di questi è Zan Times, un collettivo di giornaliste che lavora sia dentro – con le difficoltà immaginabili – che fuori dal Paese governato sotto le leggi della sharia. All’origine della scelta di andare in strada e chiedere l’elemosina ci sono gli spazi ristretti lasciati al genere femminile per trovare impiego, e la crisi economica.

Un dossier del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP) del gennaio 2024 evidenzia che “le donne non solo hanno un accesso limitato agli spazi pubblici, ma ora consumano anche meno cibo e sperimentano una maggiore disuguaglianza di reddito rispetto agli uomini. Anche la percentuale di donne che lavorano in tutti i settori è diminuita drasticamente, dall’11% nel 2022 a solo il 6% quest’anno”.

Il dossier indica che “quasi il 70% degli afghani non è in grado di soddisfare i bisogni fondamentali come cibo, assistenza sanitaria, lavoro e altre necessità quotidiane”. Inoltre, le micro e piccole imprese guidate da donne “hanno subito una contrazione del 60% dal 2021”. Nasce così l’esigenza di chiedere soldi per sopravvivere. I talebani, nel maggio scorso, hanno promulgato una legge che impedisce a chi è in buona salute di chiedere l’elemosina. I funzionari hanno creato un registro dove i mendicanti sono registrati in “professionisti”, “indigenti” e “organizzati”; ne è seguita una schedatura con la raccolta di dati biometrici.

Secondo Zan Times, già 50.000 persone sono state schedate in base a queste procedure. Le giornaliste della pubblicazione indipendente hanno raccolto diverse testimonianze di donne che hanno denunciato abusi sessuali o dopo l’arresto, o durante la schedatura. Molte di loro raccontano di essere state portate nel carcere di Badam Bagh e di aver visto anche bambini detenuti sottoposti a violenze; inoltre si dicono disperate perchè da un lato hanno paura a ritornare in strada, ma dall’altro non sanno come sfamare la famiglia. In qualche modo, la morte durante l’arresto è contemplata dalla nuova norma firmata dal governo degli emiri: “Se un mendicante muore mentre è in custodia e non ha parenti o se la famiglia si rifiuta di ritirare il corpo, i funzionari comunali si occuperanno della sepoltura”.

Il problema della mancata occupazione si è posto già da qualche anno, ovvero da quando è stata imposta la sharia e le donne che occupavano posti di lavoro in uffici pubblici o università, sono state mandate a casa. Le restrizioni hanno colpito anche coloro che lavoravano nelle organizzazioni non governative, tanto che dal 2022, Save the Children, Norwegian Refugee Council, International Rescue Committe e altri organismi, hanno avuto le loro forze dimezzate, e l’Unicef ha evidenziato un impatto “devastante” sulle forniture di servizi sanitari, cibo e istruzione. C’è un altro aspetto, altrettanto grave, della disoccupazione femminile, ed è quello dell’aumento delle violenze in ambito familiare. I mariti sono frustrati perchè le mogli non portano più soldi a casa, e perchè magari anche loro hanno perso il lavoro; un circolo vizioso che vede la donna di casa soccombere inesorabilmente, senza sapere a chi chiedere aiuto. E pregare ad alta voce, non si può più.

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