La paralisi politica in Bulgaria è entrata in una nuova, paradossale, fase che rischia di avere gravi conseguenze sulla tenuta economica e sulla stabilità della nazione balcanica. Sette elezioni in meno di 4 anni non sono riuscite a produrre una via d’uscita stabile alla continua alternanza di governi ad interim e fragili coalizioni destinate a durare qualche mese. Le ultime consultazioni, svoltesi a ottobre, si sono concluse senza che nessun partito abbia ottenuto la maggioranza dei seggi e le trattative per la formazione di un nuovo esecutivo sembrano ormai essere fallite. Il partito di centrodestra GERB, guidato dal controverso ex premier Boyko Borissov, è giunto al primo posto con 69 seggi sui 240 dell’Assemblea Nazionale ma nessuno vuole allearcisi. Continuiamo il Cambiamento/Bulgaria Democratica (PP/DB), due partiti riformisti ed europeisti unitisi per il voto e visti come possibili partner di governo, rifiutano la possibilità che Borissov, già al potere tra il 2009 ed il 2021 e poi costretto a dimettersi in seguito a massicce proteste contro la corruzione, possa tornare a essere primo ministro. Borissov, come riportato da Balkan Insight, ha affermato “di non voler più avere a che fare con questo Paese in rovina”, rinunciando di fatto al mandato e aprendo la strada a nuove elezioni.
Il PP/DB, giunto al secondo posto alle ultime consultazioni, dispone di appena 37 seggi e non sembra avere possibilità di formare il prossimo esecutivo e lo stesso vale per i partiti del campo filorusso e nazionalista come Revival/Vazrazhdane, giunto terzo con 35 seggi, che sono ben lontani dalla maggioranza assoluta dei seggi. Il quadro frammentato è un prodotto (anche) del sistema elettorale proporzionale, usato di volta in volta nelle consultazioni legislative ma incapace di garantire governabilità. I partiti sono così divisi da non riuscire ad eleggere nemmeno il Presidente del Parlamento, una posizione chiave che garantisce il funzionamento dell’Assemblea Legislativa, ora paralizzata ed incapace di votare provvedimenti essenziali. La Commissione Europea, come evidenziato da Euractiv, sta cominciando a perdere la pazienza con Sofia perché le erogazioni del Recovery e Sustainability Plan sono legati all’implementazione di riforme che non sono state attuate. La Bulgaria ha ricevuto la prima tranche di fondi, pari ad 1.3 miliardi di euro, nel 2022 ma poi non ha rispettato gli impegni per ottenere la seconda tranche, pari a 635 milioni di euro e più in generale la restante parte dei contributi che, tenendo conto di quanto già versato, ammonterebbero a 4.7 miliardi di euro.
La crisi politica e l’alto tasso d’inflazione hanno costretto Sofia a rinviare la data di adesione all’Eurozona, inizialmente prevista nel gennaio 2024 ed ora slittata ad una data imprecisata del 2026. La presenza di significative problematiche di corruzione, la scarsa competitività ed il tasso di povertà più alto dell’Unione Europea non aiutano a rendere la situazione più stabile e rappresentano fragilità destinate ad aggravarsi. L’opinione pubblica è, inoltre, influenzata dalle campagne di disinformazione legate alla Russia e che si sono rivelate particolarmente efficaci nell’instillare dubbi sull’opportunità ed i possibili benefici nel caso di un’adesione all’euro. Tra i timori che si sono radicati c’è la paura di una crescita dei prezzi e quella relativa alla perdita di sovranità economica.
L’influenza esercitata da Mosca nella nazione balcanica appare in crescita e ben due partiti del Parlamento bulgaro, nello specifico Vazrazhdane ed il Partito Socialista, hanno relazioni ufficiali con il Cremlino. I Socialisti, tradizionalmente vicini a Mosca, sono riusciti ad eleggere il Capo di Stato Rumen Radaev e la loro forza elettorale, sebbene in calo rispetto al passato, non è trascurabile. Insieme alla destra radicale possono contare su 57 seggi nel Parlamento bulgaro e non sono gli unici movimenti ad aver espresso simpatia nei confronti della Russia. Il rischio dell’attuale paralisi politica è legato ad una potenziale crescita del comparto filorusso in ambito politico e mediatico, con gravi conseguenza sulla tenuta europeista ed atlantista di Sofia. Le problematiche geopolitiche sono, poi, strettamente legate alla questione energetica.
La Bulgaria ha cercato di ridurre, nel corso degli anni, la dipendenza sviluppata nei confronti di Mosca puntando sulla diversificazione energetica e sulle rinnovabili. Sofia, che ha appoggiato Kiev dopo l’invasione russa del 2022 ed ha rifiutato di pagare il gas di Mosca in rubli, ha compensato il calo delle importazioni di gas russo approvvigionandosi di scorte provenienti da Azerbaigian e Stati Uniti. Maggiori problemi sono, invece, stati registrati sul fronte petrolifero dove la dipendenza da Mosca è più strutturata. Gli interessi energetici della Russia nella regione balcanica ed in Europa Orientale, dove sono presenti alleati come Serbia ed Ungheria che si riforniscono da Mosca, passano anche da Sofia e l’instabilità interna di questa nazione può giocare, nel medio-lungo periodo, a vantaggio del Cremlino ed indebolire le posizioni, già precarie, di Bruxelles nella regione.