Si potrebbe assai bene adattare la celebre canzone di Gino Paoli alle esternazioni dei nostri governanti che, mentre si stava consumando il fallimento della Cop di Baku, davano credito sui media ad opzioni energetiche irrisolte, indeterminate nel tempo, pur di non dar realizzazione ad una potenza elettrica rinnovabile a portata di mano e sostitutiva dei fossili.
Meloni, in un mordi e fuggi dal palco in Azerbaijan, in nome della neutralità tecnologica ha disegnato come opportuno e ambizioso l’orizzonte della fusione nucleare. Ottima attestazione di atlantismo, dal momento che allo stato attuale sono più accattivanti le prospettive militari della fusione di deuterio e trizio, che non la realizzazione di un reattore civile regolarmente funzionante. Basta analizzare l’articolo di Arjun Makhijani e si capirebbe che il reclamatissimo esperimento di ignizione di 192 laser della National Ignition Facility di Livermore non è che il risultato di sei decenni di lavoro attorno ad un progetto militare, che ha portato alla ribalta domande sul fatto che alcuni esperimenti violino il Trattato per la messa al bando totale dei test sulle esplosioni nucleari.
La ricerca sulla fusione per uso pacifico e quella per uso militare sono fortemente intrecciate, ma non se ne vuol parlare. Infatti, dopo Livermore, c’è ancora un notevole silenzio sul fatto che le armi a fusione pura – armi che potrebbero uccidere un gran numero di esseri umani con radiazioni neutroniche – siano un obiettivo del programma del Pentagono. Dato che nessuno ritiene possibile la messa in opera di un reattore a fusione civile entro almeno un trentennio, i test di un’arma termonucleare sono invece in continuo perfezionamento. Già nel 1949 Robert Oppenheimer aveva dichiarato che “una super bomba come quella a fusione pura non dovrebbe mai essere prodotta, non essendoci alcun limite intrinseco al suo potere distruttivo”, mentre il Manifesto di Einstein-Russell del 1955 affermava che le bombe all’idrogeno esplose sott’acqua potevano diffondere la radioattività così in lungo e in largo che ci poteva essere “una morte universale, improvvisa solo per una minoranza, ma per la maggioranza una lenta tortura della malattia e della disintegrazione” dato che l’impatto radiativo dei neutroni di fusione diffondono ben l’80% dell’energia.
In compenso, Cingolani ritiene fattibile una variante della fusione, quella a confinamento magnetico, infinitamente più problematica per un suo funzionamento entro il secolo, ma altrettanto affine agli interessi militari, dopo che Sakharov aveva già proposto nei primi anni 50 che l’uranio 233 e il plutonio 239, entrambi utilizzabili per le armi a fissione, potessero essere prodotti utilizzando neutroni provenienti da reazioni di fusione per irradiare rispettivamente il torio 232 e l’uranio 238 non fissili. E Cingolani è alla testa di Leonardo, l’ottava impresa militare al mondo. Questo fa pensare che, in un momento in cui somme di denaro senza precedenti affluiscono nell’energia da fusione, l’Orologio dell’Apocalisse sia più vicino che mai alla mezzanotte.
Nel frattempo, il ministro Urso ci informa da Milano Finanza del 27 novembre che il governo sta lavorando a una società dedicata alla costruzione di reattori nucleari di terza generazione avanzata (?). “I lavori sono in corso – afferma il ministro, e i vari passi sarebbero già stati definiti, con Enel, Ansaldo Nucleare e Leonardo – Tutto questo sarà possibile solo se lavoreremo insieme per accogliere il largo consenso degli italiani, a partire dalle generazioni più giovai e consapevoli”. Lo dice, assicura il ministro del MASE, un sondaggio di Swg che annota che 8 italiani su 10 hanno già deciso di tornare a investire nell’energia nucleare, a partire dagli Smr, (Small modular reactor), i reattori di piccole dimensioni. Un sondaggio, quindi, abolirebbe il referendum e una serrata e informata discussione politica?
Ne è convinto Gilberto Pichetto Fratin, forse il più disinvolto, che dice testualmente “che gli è venuto in mente di mettere data center dove c’erano siti nucleari e, forse confondendosi, cita Civitavecchia (dove c’è tutt’ora una centrale a carbone!) e ricorda che sta preparando una bozza di legge delega da portare in Parlamento per riaprire una strada verso un nuovo nucleare: “una esigenza per il nostro Paese che vuole mantenere gli impegni ambientali firmati a livello internazionale”. Ma non si era detto che la strada del risanamento climatico sarebbe svoltata lontano da fossili e nucleare?
Dice testualmente che gli è venuto in mente di mettere data center dove c’erano siti nucleari e, forse confondendosi cita Civitavecchia (a carbone!). “Entro l’anno – aggiunge – avremo una bozza di legge delega da portare in Parlamento: riaprire una strada troppo a lungo rimasta chiusa verso un nuovo nucleare è una esigenza per il nostro Paese che vuole mantenere gli impegni ambientali firmati a livello internazionale. Oltre a Enel, Ansaldo Nucleare e Leonardo, c’è ovviamente un altro attore pubblico già pronto alla ripartenza. Si tratta di Sogin, che ancora non si è espressa nemmeno sul deposito delle scorie nucleari. E dove sta il popolo sovrano?