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NBA Freestyle | Si può già usare la parola “fallimento” per Zion Williamson?

Pensieri in libertà (con libertà di pensiero) sulla settimana NBA

Zion Williamson: si può già dire la parola “fallimento”?
In sei anni di NBA, Zion Williamson ha giocato in totale 190 partite. Una stagione regolare è fatta da 82 gare. Basta fare i conti. Al momento, tra l’altro, è fuori senza una stima sul suo rientro. Intendiamoci, può capitare di farsi male. Il giocatore di New Orleans, però, non si è mai presentato realmente in forma. Questo non aiuta a limitare gli infortuni, anzi. L’ex Duke pesa quasi 130 kg ed è alto appena 198 cm. È come se Michael Jordan fosse stato pesante quanto Shaquille O’Neal. Poi, non banale, c’è l’aspetto del gioco. E qui, i punti interrogativi rimangono enormi. Entrato nella lega con lo status di futuro dominatore, Williamson (per colpa sua) non ha mai mostrato di poter (e voler) evolvere dal punto di vista tecnico. È esattamente quello che era quando venne scelto dai Pelicans con la numero uno al Draft del 2019. Un centro sottodimensionato, senza un minimo di pericolosità perimetrale, che tratta la palla in modo mediocre ed è rivedibile a rimbalzo. Ovvio che con quella massa e quell’atletismo ti tiri giù un canestro se imbeccato in velocità in contropiede o se riceve in situazione di vantaggio sull’angolo difensivo del difensore. Meno piacevole è che il suo gioco quasi si annulli a difesa schierata e che l’impatto difensivo non vada oltre qualche stoppata da flash fotografico. Lasciate perdere le cifre, in questa situazione valgono poco. Può metterne anche 30 a partita. Guardate quanto, invece, è migliorata la squadra (al momento ultima a Ovest) in questi anni. Guardate al suo atteggiamento mai da leader, un po’ da “sono qui solo perché mi pagano”. Possiamo già dire che Zion Williamson è un fallimento? Rifletteteci.

Julius Randle è un “buco nero”
I risultati di Minnesota sono impietosi, soprattutto dopo la passata stagione da record. Sotto il 50% di vittorie, prima di tutto. Non basta, fuori dalla top 10 per efficienza difensiva (lo scorso anno, erano al primo posto). Uno dei motivi, senza dubbio, è anche la presenza di Julius Randle. Arrivato dai Knicks (con DiVincenzo) in cambio di Karl-Anthony Towns, l’ex New York non brilla per competenza nel proprio lato del campo. E in attacco? Ha uno stile di gioco da “buco nero”. Quando staziona all’ala-forte insieme a Gobert nella posizione da centro, il campo si restringe in modo tragico. Tira da fuori col 34%, ma non è tanto la percentuale, che rimane mediocre, quanto i tanti tiri fuori ritmo che prende. Randle è giocatore da uno contro uno, da isolamento, ferma spesso il gioco, si intestardisce nelle entrate. Sembra prendere alcune conclusioni con l’obiettivo di alzare le statistiche, più che di vincere le partite. Ciò porta a risultati non proprio ragguardevoli dal punto di vista della fluidità offensiva della squadra. L’attacco dei T-Wolves è più statico. E in campo si vede. In più, si legge in giro che l’atmosfera in spogliatoio non sia proprio da “Libro Cuore”. Un vero peccato.

Jaylen Brown & Derrick White: le perle di Boston
Sapesse anche palleggiare bene, scalerebbe non poco la lista dei top della lega. Continua a migliorare, Jaylen Brown. Non tanto da un punto di vista statistico. Da tre, per dire, nel 2020-2021 tirava quasi il 40%. In questa stagione è fermo al 33%. Ma non è un tiratore puro, Brown. È un tiratore di striscia, uno che se becca il ritmo giusto può davvero essere decisivo anche dal perimetro. Come in settimana, nella vittoria su Minnesota, dove ha iniziato la gara con 5 canestri consecutivi su 5 tentativi. Jaylen Brown sembra cresciuto, nonostante le nove stagioni sulle spalle, dal punto di vista della postura in campo, della sicurezza palla in mano, della consapevolezza del proprio ruolo e dei propri mezzi. Ha smesso di giocare per dimostrare di valere il contrattone monstre che Boston gli ha dato nel 2023 (303 milioni di dollari per cinque anni). In una squadra, i Celtics, che sta di nuovo facendo davvero faville anche grazie a un altro giocatore che, seppur non da copertina, può essere considerato uno dei migliori playmaker in circolazione. Derrick White è forse il meno appariscente dei motivi per cui i Celtics sono così forti, così completi, così difficili da affrontare. La sua, finora, è la miglior stagione in carriera. Le cifre parlano di un giocatore che segna in media 18,4 punti con oltre il 41% da fuori. Il campo parla di un giocatore ordinato in attacco, con insospettabili punti nelle mani, che sa quando non deve sbagliare. Un concentrato di concretezza, di linearità, perché White ha fondamentali molto puliti, che è poi quello a cui dovrebbe aspirare ogni ragazzino che si approccia a questo sport. A tratti invalicabile in difesa, dove fa la differenza sia nell’uno contro uno che nella difesa di squadra. Adesso si spiega ulteriormente come mai i biancoverdi avessero mandato via Marcus Smart così a cuor leggero. Un gran bel giocatore, Derrick White.

That’s all Folks!
Alla prossima settimana.