Da ottobre 2023 a oggi molta attenzione è stata data all’export di materiale bellico dall’Italia a Israele, ma il nostro Paese continua a importare armi e munizioni dalle aziende israeliane. Roma è generalmente un grande importatore di prodotti militari made in Israel, più che un esportatore. Come riportato dai dati della Relazione rilasciata annualmente dal […]
Da ottobre 2023 a oggi molta attenzione è stata data all’export di materiale bellico dall’Italia a Israele, ma il nostro Paese continua a importare armi e munizioni dalle aziende israeliane. Roma è generalmente un grande importatore di prodotti militari made in Israel, più che un esportatore. Come riportato dai dati della Relazione rilasciata annualmente dal governo, le importazioni definitive di materiale militare da Israele hanno raggiunto un valore di 31 milioni nel 2023, in netto aumento rispetto ai 9 milioni dell’anno precedente. In particolare, l’Italia importa fucili d’assalto per le forze speciali, velivoli spia, droni e munizioni per carri armati Ariete e per i blindati Centauro. In confronto, l’export verso Israele nel 2023 è stato di “soli” 10 milioni, nettamente inferiore rispetto ai dati dell’import per lo stesso periodo.
La relazione del governo relativa al 2024 sarà disponibile solo a metà del prossimo anno, ma le tabelle dell’Istat forniscono un’anteprima. Sotto la categoria “armi e munizioni” – quindi un campione più ristretto rispetto a quello del Rapporto del governo – il valore dell’import dei primi due trimestri del 2024 è di poco superiore ai 16 milioni. Un valore quasi uguale a quello di tutto il 2023, sempre secondo le rilevazioni dell’Istat. Ma l’Italia non si limita all’import/export di armi israeliane. Nel 2022, la branca italiana di Rheinmetall e l’israeliana UVision hanno siglato un accordo per la produzione di droni kamikaze Hero 30 in Italia. Questi velivoli – largamente testati da UVision a Gaza e in Libano – sono già in dotazione all’esercito italiano e saranno presto acquistati anche dall’Ungheria.
L’interscambio militare tra Roma e Tel Aviv, dunque, è proseguito indisturbato da ottobre 2023 ad oggi, il tutto nonostante la Commissione internazionale d’inchiesta delle Nazioni Unite sui Territori palestinesi occupati abbia accertato che le autorità israeliane hanno commesso crimini di guerra e contro l’umanità a Gaza a partire dal 7 ottobre 2023. Nemmeno il recente mandato di arresto emesso dalla Corte penale internazionale nei confronti del premier Benjamin Netanyahu e dell’ex ministro della Difesa Yoav Gallant sembra abbia avuto un impatto. Ma l’Italia non è l’unico paese che continua a comprare armi prodotte in Israele. Nei giorni scorsi la Elbit System, una delle più importanti aziende della difesa israeliane, ha annunciato di aver aumentato i propri profitti nel 2024 del 14 per cento rispetto all’anno precedente. Il primo acquirente di Elbit è l’esercito israeliano, a cui è andato il 29 per cento della produzione, ma un altro 25 per cento si è diretto verso l’Europa.
Fermare l’import di materiale militare da Israele però non è semplice. A livello italiano, la legge che regola l’acquisto e la vendita di prodotti di Difesa è la 185/90, ma la norma non riporta alcun tipo di limitazione all’import. Nemmeno la Direttiva europea o il Trattato internazionale sul commercio di armi prevedono specifici divieti sulle importazioni, limitandosi a regolare le esportazioni. L’unico modo per fermare l’acquisto di armi israeliane è un embargo completo nei confronti di Israele, ma ad oggi né il governo italiano né le Nazioni Unite hanno adottato un simile provvedimento. C’è un altro elemento però che va considerato nel valutare l’impatto delle relazioni tra Israele e Italia in ambito militare. Le armi che le aziende israeliane producono e vendono anche in Europa sono testate su Gaza e i territori palestinesi, come riportato chiaramente anche sulle stesse brochure pubblicitarie. Il fatto di essere state già provate in situazioni di conflitto, infatti, rende le armi israeliane ancora più competitive rispetto alle altre di nuova produzione ed è quindi una caratteristica che le aziende stesse sono ben felici di pubblicizzare.
Eppure proprio per questo motivo l’Italia e gli Stati che fanno parte della Nazioni Unite dovrebbero ben guardarsi dall’acquistare le armi israeliane. Come riportato nei “Principi guida sulle imprese e i diritti umani” redatti dall’Onu, quando gli Stati firmano dei contratti dovrebbero accertarsi che le imprese con cui fanno affari rispettino i loro stessi standard in termini di rispetto dei diritti umani. Compare armi testate sui civili non rientra in questa definizione. Il problema in questo caso è che i “Principi guida” non sono vincolanti, per cui i membri dell’ONU possono continuare a ignorare queste raccomandazioni. Tuttavia, anche l’Unione europea di cui pure l’Italia fa parte ha tra i suoi obiettivi la promozione e la tutela dei diritti umani, per cui risulta doppiamente problematico che i paesi dell’Ue continuino ad acquistare armi da Israele. Così facendo, gli Stati membri sostengono di fatto delle aziende che testano i loro prodotti sui civili palestinesi, ricavandone poi ingenti profitti. Il dato è ancora più rilevante se si considera la corsa al riarmo a cui si assiste a livello europeo per iniziativa tanto dei singoli Stati quanto delle istituzioni europee, e dietro spinta della Nato. Israele è un grande esportatore di materiale militare verso l’Ue, il che vuol dire che la sicurezza dell’Unione si sta costruendo anche con armi testate sui civili palestinesi.