Negli ultimi anni, il credito su pegno ha registrato una significativa crescita in Italia, emergendo come una soluzione finanziaria sempre più utilizzata. Secondo una ricerca condotta da BVA Doxa per Affide, il 61% degli italiani è a conoscenza di questo servizio, e il 19% lo considera una valida opzione per ottenere liquidità, segnando un incremento di 6 punti percentuali rispetto al 2019. Inoltre in base agli ultimi dati disponibili, tra 270.000 e 300.000 individui si sono rivolti annualmente a questo servizio, con un importo medio del prestito di circa 1.000 euro.
Questo maggiore utilizzo è attribuibile soprattutto al fatto che l’incertezza economica e le difficoltà di accesso al credito tradizionale hanno spinto molte persone a cercare alternative rapide e sicure. Il credito su pegno offre liquidità immediata senza la necessità di verifiche creditizie complesse, utilizzando beni personali come garanzia.
Dietro questo aumento si cela, però, una realtà che merita una riflessione profonda. Se da un lato questa forma di finanziamento offre un accesso rapido alla liquidità, dall’altro il suo utilizzo ha un costo sociale pesante, soprattutto per le classi più povere. Le fasce economicamente fragili, che spesso si rivolgono al credito su pegno come ultima risorsa, rischiano di perdere per sempre i propri beni senza alcuna reale speranza di recupero.
Molte persone ricorrono al credito su pegno quando hanno bisogno urgente di liquidità per spese essenziali, come pagare bollette, affrontare cure mediche o soddisfare bisogni primari. Tuttavia, spesso non conoscono a fondo le regole che governano questo strumento. Un dato significativo è che meno della metà degli intervistati sa che è possibile riscattare i beni impegnati una volta restituito il prestito, ovviamente con gli interessi. Questa mancanza di consapevolezza, unita alle difficoltà economiche, può portare a un esito drammatico: chi non riesce a rimborsare in tempo, pur avendo la possibilità, perde definitivamente gli oggetti impegnati, spesso di grande valore economico o affettivo. Di conseguenza, il bene viene venduto una volta scaduti i termini, e il cliente perde sia l’oggetto che la possibilità di recuperarlo. Questo meccanismo alimenta un circolo vizioso, in cui la perdita di beni preziosi peggiora ulteriormente la condizione di chi già vive una situazione di fragilità economica, lasciandolo con meno risorse per affrontare nuove difficoltà.
Se è vero che il credito su pegno si presenta come un’alternativa veloce e accessibile rispetto ai prestiti tradizionali, è altrettanto vero che per le classi più povere questa velocità può trasformarsi in un’arma a doppio taglio. I tassi di interesse applicati (mediamente tra il 13% e il 15%!), spesso percepiti come alti, e la brevità del periodo di riscatto (tra i 3 e i 12 mesi) rendono estremamente difficile per le famiglie più vulnerabili recuperare i beni impegnati. L’illusione della liquidità immediata si traduce, nella maggior parte dei casi, in un sacrificio definitivo: oggetti di valore, come gioielli di famiglia o beni di lusso, finiscono per essere venduti all’asta.
Il credito su pegno, così com’è strutturato, tende quindi a perpetuare le disuguaglianze economiche. Le classi agiate, meno esposte alla necessità di ricorrere a questa forma di finanziamento, riescono a preservare i propri patrimoni, mentre le famiglie povere si vedono costrette a spogliarsi dei loro ultimi averi, spesso senza alcun beneficio a lungo termine. Questo squilibrio mette in luce un problema sistemico: il credito su pegno non solo non risolve le difficoltà economiche, ma in molti casi le aggrava.
Per invertire questa tendenza, è fondamentale promuovere campagne di consapevolezza finanziaria (non affidate alle banche) che spieghino chiaramente il funzionamento del credito su pegno e le sue implicazioni. Le persone devono essere informate sui tempi di riscatto, sui costi effettivi e sulle alternative possibili. Chi vive un momento di crisi economica o personale potrebbe essere talmente assorbito dai problemi quotidiani e da un sovraccarico emotivo da non prestare attenzione ai dettagli burocratici o alle tempistiche. Inoltre, è necessario che il legislatore introduca normative più stringenti per tutelare i consumatori, limitando i tassi d’interesse e garantendo maggiore trasparenza nelle operazioni.
Perché questa forma di credito possa davvero contribuire a sostenere chi è in difficoltà, è necessario ripensare il sistema con un approccio più equo e inclusivo, che metta al centro la tutela dei più vulnerabili.