Ambiente & Veleni

No alle trivelle in Adriatico: accolti i ricorsi di ambientalisti e comuni del Delta del Po, il Tar annulla il decreto ministeriale del 2021

Stop alle trivelle in Adriatico. Il progetto “Teodorico”, che prevedeva lo sfruttamento di un giacimento di gas all’altezza del Delta del Po, avrebbe dovuto costituire l’avamposto per la ripresa delle trivellazioni che hanno causato gravi fenomeni di subsidenza sul litorale delle Regioni Veneto ed Emilia Romagna. Il Tar del Lazio ha però accolto i ricorsi di associazioni ambientaliste e di enti locali, annullando l’autorizzazione rilasciata nel 2021 dal ministero dell’Ambiente di concerto con il ministero della Cultura, che avevano anche valenza di autorizzazione integrata ambientale.

Il provvedimento porta la firma di Donatella Scala, presidente della seconda sezione del Tar, e del giudice estensore Maria Rosaria Oliva. Due i ricorsi presentati. Il primo era delle associazioni Legambiente, Lipu, Wwf Italia e Greenpeace, patrocinate dall’avvocato Matteo Ceruti. Il secondo (avvocato Bruno Barel) è stato sostenuto dal Parco del Delta del Po, dalla Provincia di Rovigo e da alcuni Comuni polesani (Adria, Taglio di Po, Ariano nel Polesine, Loreo, Rosolina, Papozze, Corbola, Porto Viro e Porto Tolle).

I ricorsi (che hanno avuto anche il sostegno delle Regioni Veneto ed Emilia Romagna) erano rivolti contro i due ministeri e la società Po Valley Operation Pty ltd. Chiedevano l’annullamento del decreto ministeriale numero 116 del 29 marzo 2021 che aveva concluso un iter iniziato nel 2017 per ottenere la pronuncia di compatibilità ambientale del progetto Teodorico. Se ne erano occupate anche le commissioni tecniche Via (Valutazione impatto ambientale) e Vas (Valutazione ambientale strategica) che avevano dato un parere con prescrizioni. Nel 2021 arrivò il rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale.

I ricorsi si basavano su sette contestazioni, una delle quali era riferita anche al rischio di subsidenza, ovvero di abbassamento della costa a seguito del pompaggio di gas, un fenomeno manifestatosi a partire dagli anni Cinquanta. Ma è bastato il primo dei sette motivi a convincere i giudici. Riguarda l’esistenza di un Sito marino di importanza comunitaria che ha una superficie complessiva di 536 chilometri quadrati, di cui 225 affidati in gestione dal Veneto all’ente Parco Delta del Po nel 2020, e 311 rientranti nella competenza dell’Emilia Romagna.

“Va accolto il motivo del ricorso con cui è stata lamentata la violazione della direttiva Ue ‘Habitat’, nonché l’eccesso di potere per carenza di istruttoria e di motivazione”, scrivono i giudici. Ricordano che “il provvedimento ministeriale impugnato ha consentito una trivellazione a meno di un chilometro dei confini di un’area del Delta del Po posta tra le 6 e le 12 miglia marine di distanza dalla costa”. Si tratta di un sito marino di interesse comunitario, dopo il riconoscimento nel 2015 da parte dell’Unesco della zona umida del Delta del Po come riserva di biosfera del programma “Man and the Biosphere”. Era stato lo stesso ministero dell’Ambiente a proporre alle due regioni l’individuazione di questo sito “a tutela delle specie protette”.

La richiesta di autorizzazione allo sfruttamento dei giacimenti di gas avrebbe dovuto contenere studi adeguati che valutassero “l’incidenza degli interventi sul sito e sulla zona speciale di conservazione”. Serviva una “valutazione di incidenza degli effetti diretti e indiretti dei progetti sugli Habitat e sulle specie marine”, compresi “gli elementi relativi alla compatibilità del progetto con le finalità conservative previste”. Inoltre “il Ministero dell’Ambiente aveva già trasmesso la proposta di istituzione del sito marino di interesse comunitario ben prima dell’emanazione del decreto che è stato impugnato” e di conseguenza “la valutazione di incidenza ambientale avrebbe dovuto tener conto non solo dei siti di interesse comunitario già oggetto di approvazione della Commissione europea, ma anche dei siti per i quali vi fosse stata la relativa proposta”. Conclusione: “Poiché non vi è stata la valutazione della proposta, a suo tempo trasmessa dallo Stato alla Commissione europea, avente per oggetto il Delta del Po, il primo motivo del ricorso va accolto, con il conseguente annullamento del provvedimento”.

Il Tar ha riconosciuto anche il diritto di intervento dei Comuni della Valle Padana e in particolare di quelli prospicienti il mare Adriatico di fronte al “fenomeno della subsidenza che è stato da tempo scientificamente provato”. “Le Amministrazioni ricorrenti ben possono agire in sede giurisdizionale, affinché non siano effettuate le attività di trivellazione e di estrazione, che senza alcun dubbio possono avere conseguenze sugli equilibri anche geologici di tali territori”.