Aids batte Covid 42 a 7. Secondo alcuni osservatori il risultato è frutto di una truffa, l’arbitro è stato comprato, il verdetto corretto sarebbe 42 a 15. Comunque sia, vince sempre l’Aids, nel primo caso per ko, nel secondo ai punti. Ma il vincitore resta lui: Mr. Hiv.

Secondo Unaids, il programma delle Nazioni Unite per l’Hiv/Aids, dall’inizio della pandemia negli anni ’80 sono 42,3 milioni le persone decedute per patologie correlate all’Aids. Secondo l’Oms, dall’inizio della pandemia nel 2019 ad oggi, i morti per Covid sono circa 7 milioni; altre stime arrivano a parlare di 15 milioni considerando anche le morti indirettamente attribuibili all’azione del Coronavirus.

Se provassimo a fare una veloce inchiesta tra i nostri conoscenti è molto probabile che gran parte di loro, forse la maggioranza, risponderebbe che sono morte più persone per Covid che per Aids. Certamente la distanza temporale ha la sua responsabilità nel deformare i ricordi; ma almeno due generazioni, tra quelle oggi viventi, sono state testimoni dirette delle fasi più calde della pandemia da Hiv.

Perché allora c’è questa dispercezione? Addentriamoci nei dati, senza esagerare, senza infilarci in calcoli complicati, con la consapevolezza che le cifre possono non essere precisissime, ma questo limite non potrà comunque modificare in modo significativo il risultato. Così facendo, forse, troveremo qualche risposta.

Dei 42 milioni di morti di Aids, 32 sono stati, fino ad ora, i decessi in Africa, 700.000 negli Usa e circa 48.000 in Italia. Dei 7 milioni di decessi per Covid (in questo caso consideriamo solo i casi ufficialmente segnalati, ma anche con numeri più alti il ragionamento che vi propongo non cambierebbe) 1,2 milioni si sono verificati negli Usa e circa 200mila in Italia. La somma dei morti per Aids in Italia e negli Stati Uniti – due nazioni per le quali sono disponibili cifre ufficiali per ambedue le patologie e che prendo come rappresentanti del mondo occidentale al quale noi apparteniamo – è meno del 2% dei decessi totali; nel caso del Covid tale somma è circa il 20% delle morti a livello globale. Una bella differenza!

È forse banale, ma non fuori luogo, scomodare Walter Benjamin per ricordarci che la Storia è scritta dai vincitori o comunque dai più potenti. Infatti, dal 1996 con l’arrivo di nuovi farmaci, gli inibitori delle proteasi, i decessi per Aids cominciarono a diminuire ed oggi di Aids non si muore (quasi) più. O meglio, questo avviene nel primo mondo, in Europa, Nord America, Giappone, Australia ecc. Sul pianeta invece si continua a morire: 630mila decessi nel 2023, uno ogni minuto, anzi più di uno al minuto. Ma quasi tutti in Africa e comunque nei Paesi del sud globale, dove 9,2 milioni di persone, quasi il 25% – una su quattro – dei 39,9 milioni di persone oggi viventi con l’Hiv, non hanno accesso alle terapie antiretrovirali.

Ma noi non li vediamo, sono fuori dalla nostra vista e fuori dagli interessi di Big Pharma, le grandi multinazionali farmaceutiche. Noi la pandemia da Hiv l’abbiamo rimossa. Noi ce ne ricordiamo solo quando casualmente il nostro sguardo – in prossimità del 1° dicembre, giornata mondiale per la lotta contro l’Aids – cade su qualche titolo di giornale; Big Pharma se ne ricorda quando deve condurre qualche trial clinico in quei Paesi, lontano da occhi indiscreti e da fastidiosi controlli sull’eticità della ricerca. Per gli altri 364 giorni all’anno la rimozione è totale. Ma, così facendo, facciamo male a noi stessi! Sono poche le scelte umane così fortemente autolesioniste.

“Non c’è alcun motivo di credere che l’Aids rimarrà l’unico disastro globale della nostra epoca, causato da uno strano microbo saltato fuori da un animale – scriveva David Quammen nel famoso libro Spillover: Animal Infections and the Next Human Pandemic – qualche Cassandra bene informata parla addirittura del Next Big One, il prossimo grande evento, come un fatto inevitabile… Sarà causato da un virus? Si manifesterà nella foresta pluviale o in un mercato cittadino della Cina meridionale?…”. Spillover è stato scritto nel 2012; chi lo ha scritto non era un indovino, ma un acuto osservatore di quanto stava (sta) accadendo nel nostro pianeta.

Otto anni dopo, il 28 gennaio 2020, quando la pandemia da Covid si stava mostrando in tutta la sua gravità, Quammen pubblicava un articolo sul New York Times, We made the Coronavirus Epidemic. It may have started with a bat in a cave, but human activity set it loose (Noi abbiamo causato l’epidemia di Coronavirus. Potrebbe aver avuto inizio con un pipistrello in una grotta, ma l’attività umana l’ha scatenata). E se la causa non fosse un pipistrello, ma un virus proveniente da un laboratorio, sempre di attività umana si tratterebbe.

L’Aids è stato un campanello d’allarme, anzi, una forte sirena che ha suonato ovunque in tutto il pianeta. Abbiamo preferito non ascoltare, voltarci dall’altra parte, una volta messi in salvo noi stessi. È arrivato il Covid e abbiamo pagato un prezzo molto alto, ma anche questa volta sembra più facile rimuovere i ricordi, non far tesoro della lezione e proseguire nella medesima direzione. Ma scriveva Qammen nell’articolo sul New York Times: “Invadiamo foreste tropicali e altri paesaggi tropicali…Tagliamo gli alberi; uccidiamo gli animali o li mettiamo in gabbia e li mandiamo ai mercati. Distruggiamo gli ecosistemi e liberiamo i virus dai loro ospiti naturali. Quando ciò accade, hanno bisogno di un nuovo ospite. Spesso siamo noi”.

Hanno bisogno di un nuovo ospite, spesso siamo noi. Forse conviene pensarci prima.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Successivo

Hiv, i giovani e il sesso. Tutte le fake news. L’esperta: “Solo 6 su 10 usano il condom, Aids banalizzato”

next