Siamo tornati al periodo pre Covid. Continuano infatti ad aumentare, dopo il picco negativo del 2020, le nuove diagnosi di HIV in Italia. Lo rivela l’Iss attraverso il Centro Operativo Aids, che ha appena pubblicato i dati. Nel 2023, i maschi nella fascia 30-39 anni si confermano il genere con una maggiore incidenza di nuove diagnosi, mentre è il Lazio la regione dove l’incidenza è maggiore.

I numeri da conoscere – In Italia le persone che vivono con l’infezione da HIV sono circa 140mila. Le nuove diagnosi di HIV nel 2023 sono state 2.349, in aumento rispetto alle 2.140 del 2022 e vicine alle 2.510 registrate nel 2019. Di queste il 60% è avvenuta quando la conta dei linfociti CD4 era inferiore a 350: è un dato importante perché indica che si è arrivati tardi alla diagnosi, con gravissimi rischi per la salute. Per l’Aids le nuove diagnosi sono state lo scorso anno 532, in aumento rispetto alle 444 dell’anno precedente (nel 2019 erano state 647). Nel 2023 l’incidenza HIV è di 4,0 nuove diagnosi ogni 100mila residenti. Per i maschi la fascia 30-39 anni è quella che ha una maggiore incidenza di nuove diagnosi, mentre per le donne è tra i 25 e i 29 anni. Ma dove sono state maggiormente registrate nuove diagnosi HIV? Nel Lazio, con 5,5 casi ogni 100mila residenti, seguono Umbria ed Emilia-Romagna (5,0). Una minore incidenza delle diagnosi si è avuta invece in Veneto (1,1) e nella provincia di Trento (1,8).

HIV e Aids, le differenze – Che cos’à l’HIV (Human immunodeficiency virus)? Si tratta di un virus che attacca e distrugge un tipo di globuli bianchi, i linfociti CD4, responsabili della risposta immunitaria dell’organismo. Il sistema immunitario viene indebolito fino ad annullare la risposta contro altri virus, batteri, protozoi, funghi e tumori. La presenza di anticorpi anti-Hiv nel sangue viene definita sieropositività all’Hiv. Pur con una infezione da Hiv, è possibile vivere per anni senza alcun sintomo e accorgersi del contagio solo al manifestarsi di una malattia opportunistica. L’Aids (Acquired immune deficiency sindrome) è lo stadio clinico avanzato dell’infezione da Hiv e porta a un esito fatale.

Le vie principali di contagio dell’HIV – Quali sono state le principali modalità di trasmissione dell’HIV? Dai dati Iss emerge che le nuove diagnosi (906) si sono verificate in uomini che fanno sesso con gli uomini (men who have sex with men – MsM), seguiti da maschi eterosessuali (625) e femmine eterosessuali (495). Il motivo principale di accesso al test è risultato la ‘Sospetta patologia HIV correlata o sintomi HIV’, nel 35% dei casi, seguita dai comportamenti sessuali a rischio (19,6%), mentre hanno scoperto la propria sieropositività per controlli di routine o in seguito a screening o campagne informative il 12,3% di coloro che hanno avuto una nuova diagnosi nel 2023. “Questo trend è indicativo, e va di pari passo con l’andamento delle altre infezioni a trasmissione sessuale, che sono in aumento soprattutto tra i giovani – spiega Barbara Suligoi, che dirige il Centro -. Nel 2023, due terzi degli eterosessuali, sia maschi che femmine, e più della metà dei maschi omosessuali scoprono di essere HIV positivi quando il loro sistema immunitario è già compromesso, un segno che il contagio è avvenuto da diverso tempo e che la malattia è in fase avanzata”.

Ancora insufficiente l’adesione a test e terapie – “L’accesso ai test è ancora insufficiente, molte persone si accorgono di avere l’infezione quando il sistema immunitario è spesso già compromesso – spiega al FattoQuotidiano.it la professoressa Antonella Castagna, Primario dell’Unità di Malattie Infettive dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e Ordinario di Malattie Infettive all’Università Vita-Salute San Raffaele -. È un elemento cruciale, visto che, secondo i dati appena pubblicati, si sono avuti nel 2023 oltre 200 casi in più rispetto all’anno precedente. Si tratta di un’incidenza leggermente inferiore agli altri Stati europei ma superiore per quanto riguarda le diagnosi tardive”. Uno dei problemi è legato al fatto che “ancora un terzo delle persone con HIV si sottopone ai test solo in presenza di sintomi e questo è un grave errore. Lo si dovrebbe in realtà fare in caso di rapporto senza protezione e con partner non stabili”.

Eppure, attualmente, almeno in apparenza, i test sono facili e rapidi da fare, anche rivolgendosi direttamente alle farmacie. “In più, il nostro Paese ha una cultura sanitaria che favorisce un accesso gratuito alle cure – sottolinea Castagna. Il fronte su cui bisogna migliorare è assicurare a tutti le terapie disponibili e favorire la qualità di vita dei pazienti, riducendo gli effetti collaterali. Teniamo conto che una persona con HIV dovrà prendere per decenni un farmaco orale al giorno. Con i farmaci long acting, a lunga azione, come Cabotegravir (CAB) e rilpivirina (RPV), oggi si possono ottenere miglioramenti nella gestione della terapia e della qualità di vita del paziente. In questo modo si evita ai pazienti di preoccuparsi di assumere ogni giorno il farmaco e di gestire meglio possibili effetti collaterali, favorendo l’aderenza alla terapia antiretrovirale, che è un elemento cruciale: l’interruzione o l’assunzione irregolare della terapia antiretrovirale porta inevitabilmente alla ripresa della replicazione del virus, mentre l’aderenza e l’efficacia della terapia hanno consentito di arrivare a un successo storico: U=U ( undetectable = untransmittable) vale a dire la persona con infezione da HIV in terapia stabile e viremia controllata non trasmette ad altri l’infezione per via sessuale”.

Rimuovere pregiudizi e paure – Non esiste però solo il disagio di seguire una terapia che ti accompagnerà per tutta la vita, permangono ancora, duri a morire, i pregiudizi e le paure di parlare di questa malattia chi l’ha contratta o teme di averla. “Elementi che portano a rimuovere il problema e quindi a non sottoporsi ai test per la paura del giudizio – continua la nostra esperta -. In più, è cambiata la percezione del rischio perché è passata l’idea che siccome l’HIV è oggi controllabile con la terapia antiretrovirale, è meno pericoloso; o, ancora peggio, che sia un problema che riguarda altri o determinate categorie di persone, come i tossicodipendenti, cosa non vera”.

Vaccino? Lo studio del San Raffaele – L’ideale sarebbe avere a disposizione un vaccino contro l’HIV che risolverebbe tutte le problematiche legate al seguire una terapia per una vita. Il San Raffaele ha avviato l’anno scorso una sperimentazione su questo fronte. Il team che se ne occupa è diretto dalla dottoressa Gabriella Scarlatti, direttrice del Unità di Evoluzione e Trasmissione Virale, insieme a quello dell’Unità di Malattie Infettive, guidata sempre dalla professoressa Antonella Castagna – entrambe dell’IRCCS Ospedale San Raffaele. Si tratta di uno studio clinico di fase I, randomizzato, controllato e rivolto a persone che vivono con HIV, per testare il profilo di sicurezza e la risposta immunologica di un nuovo vaccino, detto HIVconsvX, a potenziale scopo terapeutico. Finora sono state osservate “dal punto di vista della sicurezza, solo reazioni cutanee alle iniezioni a breve risoluzione – ci spiega la dottoressa Scarlatti -. Entro la seconda metà dell’anno prossimo pensiamo di chiudere lo studio e condividere i risultati di sicurezza e anche di immunogenicità. Questi ultimi ci aiuteranno a chiarire quali risposte immunitarie sono rilevanti per controllare il virus con un vaccino”.

Adesso abbiamo la PreP – La sigla PrEP sta per profilassi pre-esposizione e consiste nell’assunzione di un farmaco prima e dopo un evento a rischio HIV, per esempio un rapporto sessuale non protetto o la condivisione di siringhe. Dal maggio dell’anno scorso è un farmaco rimborsabile dal Servizio sanitario nazionale. La PrEP protegge tutti, compresi coloro che hanno rapporti con partner sieropositivi il cui virus non risulti ancora controllato dalla terapia. “Abbiamo dimostrato con chiarezza attraverso diversi studi che la profilassi con la PreP riduce in coloro che l’assumono regolarmente il rischio di contrarre l’infezione da HIV dell’80-90%”, sottolinea la professoressa Castagna. Vi sono ancora molti ostacoli che dobbiamo superare per garantire una distribuzione omogenea della PReP sul territorio nazionale sia in termini di adeguamento delle risorse per gestire efficacemente la presa in cura e il monitoraggio delle persone che hanno diritto alla PReP, sia in termini di informazione e sensibilizzazione per riuscire a raggiungere e a proporre senza pregiudizi la PreP a tutte le persone che ne possono trarre beneficio”.

Le denunce della Lila: poca PrEP e troppe violazioni della privacy – “La PrEP purtroppo è quasi sconosciuta”, denunciano infatti gli esperti della Lila, la Lega italiana per la lotta contro l’Aids. Ma non solo, “Tra il 2021 e il 2024, le persone con HIV che hanno preso contatto con i servizi della Lila segnalano violazioni della privacy e discriminazioni: soprattutto in ambito sanitario e lavorativo, sono state più di una su tre, nel 2024 oltre il 40%. Il nostro LILAReport 2024, basato su migliaia di contatti l’anno, evidenzia con chiarezza una popolazione generale con scarsissima conoscenza delle vie di trasmissione del virus e con percezioni del rischio distorte. Il problema riguarda tutte le fasce d’età. Come l’utilizzo del condom o del femidom, risultato quasi inesistente tra gli oltre mille studenti che hanno partecipato all’intervento di prevenzione EDUCAIDS di Lila Cagliari”. Ecco perché la Lila continua a dare il suo contributo con iniziative questo primo dicembre per sensibilizzare le persone sulla prevenzione. “Sono previsti appuntamenti informativi – conclude Lila – eventi di solidarietà e iniziative per l’offerta di test rapidi anonimi e gratuiti”.

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