Adesso il calcio italiano rischia davvero di avere un presidente a processo: la Procura di Roma ha infatti chiuso le indagini che riguardano Gabriele Gravina e la presunta provvigione incassata sui diritti tv della Serie C attraverso un complicato gioco di opzioni su una collezione di libri antichi. L’accusa di cui dovrà rispondere Gravina è di autoriciclaggio. La vicenda è nota ed è stata raccontata dal Fatto Quotidiano in tutte le sue tappe. Gravina avrebbe incassato – secondo i pm – una provvigione su una consulenza alla società ISG sui diritti tv della Serie C, quando ne era a capo nel 2018, attraverso un intricato schema di opzioni fittizie su una collezione di libri antichi di sua proprietà. In particolare, per far rientrare nella disponibilità di Gravina una parte dei soldi usciti dalle casse della Lega Pro, la società inglese Ginkgo, dopo aver stipulato a sua volta un accordo con ISG, ha versato (tramite l’intermediario Wallector e il curatore Mizar) un acconto di 200mila euro.
Saltato l’acquisto, Gravina ha trattenuto la caparra (cedendo solo una parte dei tomi a Mizar), e l’avrebbe utilizzata per estinguere un mutuo servito a restituire il prestito che gli aveva fatto in precedenza Marco Bogarelli, l’ex re dei diritti tv deceduto nel 2021, per comprare un appartamento a Milano per la figlia della compagna. Al quadro ricostruito dagli inquirenti, un’inchiesta del Fatto ha aggiunto un tassello importante: Gianni Prandi, l’imprenditore a cui è riconducibile Ginkgo – la società che di fatto ha sborsato circa 200mila euro per non comprare i volumi di Gravina – è poi diventata negli ultimi tempi prezioso fornitore della FederCalcio sotto la gestione Gravina (ma i due sostengono di essersi conosciuti soltanto dopo la compravendita). Nelle scorse settimane Gravina aveva salutato come una vittoria il rigetto della richiesta di sequestro preventivo di 140mila euro a suo carico. In realtà, le motivazioni del Tribunale del Riesame avevano chiarito come il diniego fosse solo per la florida situazione patrimoniale di Gravina, anzi, i giudici avevano messo nero su bianco giudizi molto pesanti sulla condotta del n.1 del pallone, parlando di operazione “evidentemente orchestrata” da lui (e da Bogarelli), lasciando preludere, come anticipato dal Fatto, a possibili sviluppi.
Così è stato: ecco la chiusura delle indagini. Non siamo ancora alla richiesta di processo, ma a questo punto il rischio è concreto: prassi vuole infatti che la comunicazione del 415 bis preluda alla richiesta di rinvio a giudizio (viceversa la mancata notifica avrebbe significato un’archiviazione imminente). “Attendevamo da tempo che terminassero le indagini per poter finalmente dimostrare l’assoluta infondatezza dell’ipotesi di reato. Il Presidente Gravina è totalmente estraneo a qualsivoglia condotta illecita e tanto gli consente di confidare serenamente nell’accertamento dell’autorità giudiziaria”, il commento dei suoi legali, gli avvocati Leo Mercurio e Fabio Viglione. Tecnicamente, comunque, ci sono ancora 45 giorni per sentire gli indagati, e Gravina potrebbe anche chiedere di essere riascoltato, per chiarire ulteriormente la sua posizione. O anche per allungare i tempi: non è un mistero che Gravina punti a farsi rieleggere alla presidenza della Figc prima della decisione del giudice. In ogni caso, nella recente ufficializzazione della ricandidatura, ha già fatto capire che non si dimetterebbe nemmeno in caso di richiesta di rinvio a giudizio (le norme glielo consentono). Le elezioni sono convocate per il prossimo 3 febbraio.