Colpevole di evasione fiscale e di possesso illegale di un’arma, un revolver Colt, acquistata nel 2018 senza dichiarare la sua condizione di tossicodipendente nell’apposito questionario. Ma ora Hunter Biden, figlio del presidente uscente, è stato graziato dal padre a poco più di un mese dall’insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump. Una vita, la sua, caratterizzata dall’uso di droga e alcol fino alla controversa attività finanziaria in cui avrebbe speso il nome del genitore per fare affari.

I processi – Era stato condannato a giugno per aver acquistato una pistola nel 2018 mentendo, secondo i pubblici ministeri, sull’uso che faceva di droghe e sulla sua dipendenza. Ed era stato avviato un altro processo a suo carico per il mancato pagamento di almeno 1,4 milioni di dollari di tasse. Hunter Biden aveva accettato di dichiararsi colpevole di reati minori con una mossa a sorpresa, affermando di volere risparmiare alla sua famiglia ulteriori dolori e imbarazzi dopo che il processo per possesso di armi da fuoco aveva rivelato dettagli sulla sua lotta contro la dipendenza da crack. L’accusa di frode fiscale prevede fino a 17 anni di reclusione, mentre l’accusa di possesso di armi da fuoco è punibile fino a 25 anni, anche se le linee guida federali prevedevano un periodo di tempo molto più breve ed era possibile che il figlio di Joe Biden avrebbe evitato del tutto il carcere. Per entrambi i procedimenti si era arrivati a un patteggiamento, poi saltato. Le sentenze sarebbero dovute arrivare il 12 dicembre per il caso dell’arma, e quattro giorni dopo per l’evasione fiscale: ma con la grazia concessa dal padre entrambi i procedimenti sono stati cancellati mentre erano ancora un corso. Un inedito assoluto per un presidente americano.

Il caso della pistola detenuta illegalmente – Tutto nasce ad aprile del 2019, quando Hunter Biden porta il suo portatile a riparare in un negozio specializzato del Delaware. E lo dimentica lì. Il proprietario del negozio, dopo aver tentato ripetutamente di contattare Biden, accede ai contenuti del disco rigido del computer, vede email in cui si parla del candidato presidente democratico Joe Biden, foto e video in cui Hunter fuma crack e mostra una pistola, e decide di allertare l’Fbi.

I federali ritirano il portatile nel dicembre del 2019. Ma il proprietario del negozio del Delaware aveva fatto una copia dei file, che consegna a Robert Costello, avvocato personale del consigliere di Donald Trump Rudolph Giuliani, che ne entra in possesso nell’agosto del 2020. Giuliani fornisce il contenuto dell’hard disk di Hunter Biden al New York Post, che pubblica in prima pagina la storia il 14 ottobre. L’articolo, oltre a mostrare le foto compromettenti, sosteneva che le email provassero accordi di corruzione tra Hunter, il padre Joe e una società ucraina Burisma.

Quando la storia comincia a circolare sui social, il social Twitter, allora guidato da Jack Dorsey, decide di rimuovere il contenuto e tutti i post che lo citavano dalla piattaforma. Anche Facebook interviene, limitando fortemente la visibilità del contenuto in attesa del responso del suo dipartimento di fact-checking. Allora si metteva in discussione la stessa esistenza del laptop di Hunter Biden e di quelle foto, non essendoci nessun altro media a confermare la notizia ed essendo la fonte politicamente orientata in favore di Trump.

Il caso di evasione fiscale – L’accusa per Hunter Biden era di aver evaso almeno 1,4 milioni di dollari di tasse tra il 2016 e il 2019, soldi che sono stati spesi in “in droga, escort, sex club, hotel di lusso e proprietà in affitto, auto costose, vestiti e altri oggetti di natura personale, in breve, tutto tranne le sue tasse”. Il denaro derivava dalle sue consulenze: la più ricca – che gli fruttava 50mila dollari al mese nonostante non avesse nessuna esperienza nel settore energetico – era quella per la società energetica ucraina Burisma. Poi seguivano alcune aziende cinesi.

Il capo di imputazione elencava la mancata presentazione e il mancato pagamento delle tasse, l’evasione fiscale e la presentazione di false dichiarazioni dei redditi. Tre sono reati gravi e sei sono reati minori. Sulla carta rischiava una pena di oltre 15 anni. Il procuratore speciale David Weiss aveva rifiutato a lungo di negoziare un patteggiamento dopo essere stato fortemente criticato dai repubblicani per le generose condizioni che aveva concesso inizialmente all’imputato eccellente sia per le accuse di evasione fiscale sia per quelle di possesso illegale di un’arma. Tanto che alla fine era saltato tutto e aveva deciso di incriminarlo in due procedimenti distinti, uno in California e uno in Delaware.

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