Intrecciato alle vicende giudiziarie di Hunter Biden, graziato dal padre e presidente a 50 giorni dall’insediamento di Trump, c’è anche un caso di censura da parte dei social media, che oscurarono la notizia legata a quanto conteneva il desktop di Hunter, consegnato per riparazione a un negozio in Delaware e dal quale è scaturita la vicenda di presunti accordi di corruzione tra lui, il padre Joe e una società ucraina Burisma. E dove il figlio del presidente, all’epoca candidato democratico per la Casa Bianca, fumava crack e mostrava una pistola.

Materiale che il proprietario del negozio – attraverso una copia del disco rigido perché il pc era stato ritirato dai federali a dicembre 2019 – ha consegnato a Robert Costello, avvocato personale del consigliere di Donald Trump Rudolph Giuliani, che ne entra in possesso nell’agosto del 2020. A quel punto Giuliani fornisce il contenuto digitale al New York Post, che pubblica in prima pagina la storia delle ipotesi di corruzione testimoniate dalle mail il 14 ottobre. A quel punto scatta la censura dei social: Twitter, allora guidato da Jack Dorsey, quando la storia inizia a circolare decide di rimuovere il contenuto e tutti i post che lo citavano dalla piattaforma, così come Facebook, che imita fortemente la visibilità del contenuto in attesa del responso del suo dipartimento di fact-checking. Allora si metteva in discussione la stessa esistenza del laptop di Hunter Biden e di quelle foto, non essendoci nessun altro media a confermare la notizia ed essendo la fonte politicamente orientata in favore di Trump. Da allora, l’esistenza del dispositivo e l’autenticità di parte del materiale in esso contenuto sono stati confermati da diversi media. Non le supposizioni del Post sui legami inconfutabili tra i contenuti di quel computer e presunti affari corrotti all’estero dell’attuale presidente Joe Biden.

“L’Fbi ci aveva avvertito di una potenziale operazione di disinformazione russa sulla famiglia Biden – ha dichiarato Zuckerberg nella lettera inviata alla Commissione giustizia della Camera Usa –. Quando abbiamo visto un articolo del New York Post che riferiva di accuse di corruzione che coinvolgevano la famiglia dell’allora candidato democratico alla presidenza Joe Biden, abbiamo inviato l’articolo ai fact-checker per una revisione e lo abbiamo temporaneamente declassato in attesa di una risposta”. La notizia era vera, ed è stata parzialmente confermata anche dal Washington Post, New York Times e dalla rete tv Cbs. Nel laptop non c’erano prove che collegassero Joe Biden ad affari torbidi, come suggeriva il primo articolo del New York Post imbeccato da Giuliani, ma c’erano abbastanza foto e video da portare, quest’anno, la giuria di un tribunale a giudicare Hunter colpevole di aver mentito nella sua richiesta di porto d’armi quanto all’uso di droghe. Sia Facebook che Twitter hanno ammesso che la loro decisione è stata un errore e si sono scusati davanti alla commissione Usa nel 2023.

Anche Elon Musk, a dicembre 2022, ha svelato, tramite la valutazione di Matt Taibbi – giornalista da sempre critico della censura online e sui media – che la precedente gestione di X aveva voluto limitare e bloccare l’accesso all’articolo del Post sui ‘segreti’ contenuti nel pc di Hunter Biden. “Twitter ha preso misure straordinarie per sopprimere la storia”, “rimuovendo link e mettendo in guardia su quello che poteva essere ‘non sicuro’. Hanno anche bloccato la sua trasmissione diretta via messaggio, uno strumento riservato ai casi estremi come la pedopornografia”, aveva specificato Taibbi.

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