Dopo una settimana di negoziati, i Paesi produttori di petrolio fanno slittare l’accordo per un trattato globale legalmente vincolante per ridurre l’inquinamento da plastica. La quinta sessione del Comitato Intergovernativo di Negoziazione (INC5) per il trattato si è conclusa a Busan, in Corea del Sud, e ha rimandato al 2025 l’ultimo round negoziale per raggiungere un accordo. Nonostante la maggior parte dei governi abbia richiesto l’inclusione delle misure ambiziose che la scienza ritiene necessarie a fermare l’inquinamento da plastica. Oltre 100 nazioni, infatti, guidate da Panama, hanno sostenuto l’introduzione di limiti alla produzione di plastica per affrontare efficacemente la crisi ambientale. Al contrario, un gruppo ristretto di grandi produttori di petrolio, tra cui Arabia Saudita e Russia, si è opposto a tali restrizioni, preferendo focalizzarsi in maniera strumentale sulla gestione dei rifiuti plastici. D’altro canto, la stessa Agenzia internazionale dell’Energia aveva previsto che la domanda di petrolio nel settore petrolchimico sarebbe stata trainata per il 45 per cento proprio dalla fabbricazione di plastica. “A Busan, abbiamo esaurito il tempo a disposizione per approdare a un trattato globale sulla plastica e alla fine non siamo stati all’altezza del mandato e dell’opportunità che ci è stata data” ha commentato Christina Dixon, responsabile della campagna per gli oceani dell’Environmental Investigation Agency. I negoziati continueranno nel 2025, ma data e luogo non sono ancora stati decisi.

L’ostruzionismo che ha bloccato i negoziati – Durante la sessione plenaria dell’ultima giornata dell’INC-5, un gruppo di 95 Paesi di diverse regioni del mondo, tra i quali l’Italia, ha dichiarato che non avrebbe accettato un Trattato che non includesse misure globali vincolanti e l’eliminazione progressiva delle sostanze chimiche e dei prodotti in plastica più problematici. Tra questi, gli oggetti in monouso. Sull’altro fronte, i grandi produttori di petrolio, come Arabia Saudita e Russia, che si oppongono al trattato dal 2022, ossia dall’anno in cui è iniziato il processo negoziale. Questo ha portato a una situazione di stallo, perché tutti i Paesi hanno potere di veto. Tra l’altro, esattamente come è accaduto nelle scorse settimane alla Cop di Baku, in Azerbaigian, anche a Busan non è mancata la presenta di lobbisti dell’oil&gas. Morale: l’ultima bozza di testo riportava ancora tutte le alternative, partendo dalle stesse definizioni di prodotto di plastica, rifiuto di plastica e inquinamento di plastica, per passare dall’ambito, con i paesi più ambiziosi che puntavano a ridurre la produzione e quelli ostruzionisti che hanno provato a limitar il campo al solo potenziamento del riciclo.

Le reazioni delle ong – “Ogni volta che i governi permettono agli inquinatori di continuare a inondare il mondo di plastica, tutti noi ne paghiamo il prezzo. Questo ritardo comporta conseguenze terribili per le persone e per il pianeta” ha commentato Graham Forbes, capo delegazione di Greenpeace ai negoziati, ricordando però che a Busan “oltre 100 Stati, che rappresentano miliardi di persone, hanno rifiutato un accordo debole che non avrebbe risolto nulla e si sono impegnati a sottoscrivere un trattato ambizioso”. Secondo Greenpeace occorre “impegnarsi contro le sostanze chimiche pericolose, ottenere un divieto sulla plastica monouso e obiettivi chiari di riutilizzo, nonché un piano di finanziamento equo”. Sono tre priorità anche per il Wwf, secondo cui le misure essenziali di un futuro accordo devono includere divieti globali e eliminazioni graduali di plastiche e sostanze chimiche dannose, standard globali per la progettazione dei prodotti, un meccanismo di finanziamento robusto e strumenti per rafforzare il trattato nel tempo. “Sono ormai passati più di mille giorni e cinque incontri negoziali da quando i governi hanno concordato di stabilire un Trattato giuridicamente vincolante per porre fine all’inquinamento da plastica. In questo periodo – racconta Eva Alessi, responsabile Sostenibilità del Wwf Italia, sono state prodotte oltre 800 milioni di tonnellate di plastica, spesso monouso e non necessarie, di cui oltre 30 milioni di tonnellate sono finite nei nostri oceani con danni enormi per persone e ambiente”.

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